La richiesta di incriminazione di Netanyahu da parte del procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja, tre Paesi europei che riconoscono lo Stato palestinese: la pressione internazionale sull’attuale governo israeliano si sta alzando. Per verificare se in Israele potrà cambiare qualcosa dal punto di vista politico, però, bisognerà attendere la scadenza dell’ultimatum (l’8 giugno) dato da Gantz a Netanyahu per definire il futuro di Gaza.



Nell’esecutivo, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, su questo punto ci sono posizioni opposte e il primo ministro a un certo punto dovrà scegliere tra lo stesso Gantz (e il ministro della Difesa Gallant, contrario a un controllo della Striscia da parte dell’IDF una volta conclusi i combattimenti) e il blocco Ben Gvir-Smotrich, portatori di due visioni inconciliabili, che potrebbero avere come esito la spaccatura del governo.



Quanto conta la richiesta di incriminazione di Netanyahu da parte della Corte penale internazionale dell’Aja?

Il procuratore Karim Khan ha chiesto i mandati di arresto non solo per Netanyahu, ma anche per il ministro della Difesa Yoav Gallant e per esponenti di Hamas. Tanto che è stato accusato di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici. Però è chiaro che nel mirino è finito Netanyahu. In un’intervista televisiva, Khan ha detto una cosa sconcertante: ha riferito di essere stato redarguito da un personaggio autorevole (di cui non ha fatto il nome) dopo la diffusione della notizia delle richieste di incriminazione: “Come osi agire così? La tua Corte è stata fatta per punire leader africani o capi come Putin, non gli occidentali”. Sulla stessa linea il solito Ben Gvir o lo speaker repubblicano del Senato americano Mike Johnson, secondo il quale bisognerà punire la Corte se dovesse emanare i mandati di cattura.



Quanto pesa, invece, la dichiarazione di Spagna, Norvegia e Irlanda (cui si aggiungeranno probabilmente Slovenia e Malta) che riconosceranno lo Stato palestinese?

Apre uno spiraglio almeno a livello europeo. Di fronte all’istanza presentata all’Onu perché il Consiglio di sicurezza rivedesse la sua decisione sull’ammissione a pieno titolo della Palestina, l’Europa si è presentata divisa al massimo: alcuni Paesi hanno votato a favore, altri come l’Italia si sono astenuti e due, Ungheria e Repubblica Ceca, si sono detti contrari. Il portavoce Ue ha riferito che la decisione di riconoscere uno Stato deve essere presa a livello delle singole nazioni. Non capisco comunque perché Paesi come Francia e Italia, che sono a favore dei due Stati, pensino che questo non sia il momento giusto per schierarsi a favore, sostenendo che ci si debba arrivare solo dopo un negoziato con Israele. In fondo si tratterebbe di un’affermazione di principio: non si sta chiedendo di sostenere una Palestina guidata da Hamas, ma di dichiararsi per la realizzazione di uno Stato palestinese, accanto a Israele.

Intende dire che è un atteggiamento contraddittorio? Da una parte si chiede di realizzare uno Stato palestinese e dall’altra non si prende posizione quando si tratta di affermare questo principio?

Esatto. A Roma, tra l’altro, anche se rappresenta l’Anp e non uno Stato, c’è già un ambasciatore palestinese, che ha sollecitato il governo italiano a seguire le orme di Spagna, Norvegia e Irlanda. Mi sembra esagerata anche la reazione di Israele che ha richiamato i suoi ambasciatori da questi Paesi ipotizzando addirittura la chiusura dell’ambasciata a Dublino. Ma allora riconoscono ancora gli accordi di Oslo e l’Anp?

L’Egitto sembra intenzionato a cercare di riaprire i negoziati per la tregua e la liberazione degli ostaggi. E anche il gabinetto di guerra israeliano ha dato mandato di continuare le trattative: è solo un modo per tenere buoni i familiari dei rapiti, soprattutto dopo il video che mostra un gruppo di soldatesse in mano a miliziani di Hamas il 7 ottobre?

Credo di sì. Tre componenti del consiglio di guerra hanno incontrato le famiglie degli ostaggi, senza Netanyahu: penso che tutto serva solo a dilatare i tempi. Tra l’altro alcune frasi del video sulle israeliane rapite sono state tradotte malissimo. Nelle frasi in arabo che ho sentito non ci sono espressioni come “sioniste” o “vi metteremo incinta” che vengono citate nelle versioni occidentali. L’audio è disturbato ma non ho sentito queste parole.

Dopo quasi otto mesi di guerra a Gaza è difficile aspettarsi un cambio di linea da parte di Netanyahu; nel suo governo, però, i nodi stanno arrivando al pettine: Gantz ha dato un ultimatum, uscirà dall’esecutivo se entro l’8 giugno non ci sarà un piano per il dopoguerra a Gaza. Per allora la spaccatura latente nel governo sarà evidente?

Un recente sondaggio rivela che il 70% della popolazione israeliana è favorevole a elezioni anticipate. Gantz vuole avere la certezza che Israele non metterà un governo militare a Gaza. Un punto sul quale anche Gallant è d’accordo. Anche se Israele su molte cose non si sa bene cosa voglia: ha chiesto all’Anp, a Mahmoud Abbas, di amministrare il valico di Rafah, senza dire però che il personale che lo gestisce è dell’Autorità Palestinese. L’Egitto non vuole avere a che fare con Israele perché è un posto di frontiera con la Palestina, non con Israele. Abu Mazen ha rifiutato.

Nel governo ci sono posizioni assolutamente contrarie sul futuro della Striscia: Ben Gvir ha affermato che andrebbe volentieri a vivere a Gaza una volta finita la guerra. A un certo punto, cioè fra due settimane, Netanyahu dovrà scegliere quale delle due posizioni sostenere?

Netanyahu è tra il gruppo Smotrich-Ben Gvir e, dall’altra parte, Gantz-Gallant, a lui scegliere. Se avrà la maggioranza andrà avanti, ma non può avere l’appoggio di entrambi. La frattura c’è. Penso che Gantz abbia dato troppo tempo al primo ministro per scegliere, bastavano pochi giorni. L’alternativa, comunque, è tra falchi e super falchi. Israele deve decidere cosa vuole fare della Striscia.

La stessa intelligence USA sfata il mito della distruzione di Hamas: finora sarebbe stato ucciso il 35% dei miliziani e il 65% dei tunnel della Striscia sarebbero in funzione. Dati che smentiscono la narrazione israeliana sulla neutralizzazione dell’organizzazione terroristica?

Dopo oltre sette mesi di combattimenti Hamas è stata eliminata per un terzo. Per neutralizzarla completamente quindi occorreranno altri sedici mesi di guerra. Una conferma della tesi per cui il conflitto di questo passo durerà ancora molto.

Per verificare se la situazione può cambiare occorrerà attendere la scadenza dell’ultimatum di Gantz? Se non succede qualcosa nel governo si va avanti così senza tregua e liberazione degli ostaggi?

Resterà tutto così com’è fino a che ci sarà questo illimitato appoggio americano. I portavoce USA difendono a spada tratta le scelte israeliane. Non vedo vie di uscita se non la caduta dell’attuale coalizione o un’altra telefonata di Biden. Ha interrotto l’invio di un carico di armi, andando ben oltre quello che si aspettavano gli israeliani, anche se poi, come se ci fosse una ripartizione di ruoli già predefinita, ha dovuto incassare un pronunciamento del Congresso che invece disponeva il ripristino delle forniture, finendo per attenersi a queste indicazioni.

(Paolo Rossetti)

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