L’Italia che Mario Draghi si appresta a governare non è un paese, è una serie di crisi incastrate una dentro l’altra che stanno sciogliendo la nazione e corrompendo l’Europa.

Draghi gestirà la crisi più evidente, quella politica, ma anche altre crisi più profonde dovrebbero essere affrontate.

C’è una crisi dello Stato perché i partiti, architrave del sistema per cinquant’anni, sono di fatto spariti, sono diventati nel migliore dei casi comitati di affari, e la burocrazia, che doveva essere complemento, supporto e argine dei partiti, si è degradata.



In entrambi i casi non viene premiato il merito ma l’asservimento, che è il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno. Mentre il merito dà efficienza al sistema, l’asservimento moltiplica gli sprechi, sia nell’allocazione delle risorse sia nell’aumento delle procedure inutili e dannose.

Dopo la seconda guerra mondiale non era così. La burocrazia statale ereditata dal fascismo poteva essere “cattiva” ma funzionava. I partiti, poi, usciti dalla persecuzione e dalla lotta antifascista avevano sia un forte afflato ideale che una capacità di agire con efficacia. Quei partiti forti, alla guida di una burocrazia forte, rimisero in piedi il paese. Ma adesso non ci sono né i primi né la seconda. Quindi da dove si ricomincia?



Inoltre nel paese sta venendo meno il collante unitario. Il Sud è sempre più arretrato rispetto al Nord e sempre più dipendente da sussidi invece che da capacità produttive proprie.

Nel Mezzogiorno, una metà del paese che va al traino del Nord, ci sono tre problemi in uno.

C’è una questione di sicurezza. La criminalità organizzata è un deterrente agli investimenti, e senza investimenti le attività criminali, dirette o indirette, sono parte importante della vita economica locale ed escludono ed espellono la crescita sana, in un circolo vizioso.

Una seconda questione sono gli investimenti infrastrutturali e non. Da Roma è molto più facile andare a Milano, Torino o Venezia che non a Palermo, Reggio Calabria o Taranto. Senza infrastrutture si scoraggiano ulteriormente gli investimenti e si aumenta la dipendenza da forme assistenziali date dallo Stato o da organizzazioni criminali.



Infine c’è la questione della sicurezza esterna. Il caos della Libia, l’alea dell’arrivo confuso di immigrati, la mancanza di una proiezione italiana ed europea nel Mediterraneo, impediscono al Sud di svolgere il proprio ruolo naturale di ponte dell’Europa verso Asia e Africa.

In questo caso, visto lo sviluppo travolgente dei due continenti e la dinamicità dell’Europa, il Meridione diventa spazio di passaggio incontrollato di qualunque cosa, dal terrorismo, regolato da amministratori più o meno volenterosi, alla solita criminalità.

A questi tre problemi occorrerebbe dare una risposta completa: economica, di polizia e militare-estera. Nulla di tutto questo si sta considerando.

Infine ci sono due problemi sociali che si muovono in direzioni opposte. Ci sono circa due milioni di italiani spesso di grande qualità, con grande voglia di imparare e darsi da fare, che lavorano all’estero, e ci sono circa due milioni di immigranti, anche questi spesso di qualità, con grande voglia di imparare e darsi da fare, che lavorano in Italia.

Questi 4-5 milioni di persone di fatto non fanno parte della vita politica del paese. Gli italiani all’estero perché sono fisicamente lontani, non pagano le tasse in Italia ma hanno diritto di voto; gli stranieri perché non hanno diritto di voto, ma pagano le tasse in Italia e seguono la politica italiana.

Gli italiani all’estero dovrebbero essere convinti a rientrare e gli stranieri dovrebbero essere più profondamente integrati per nutrire con le loro energie vitali la sostanza e lo spirito del paese. Nulla di ciò pare all’orizzonte.

Il tutto avviene nel mezzo di una grande crisi internazionale per due fattori: la prima epidemia globale con crisi economica della storia del capitalismo e un confronto molto duro e nervoso tra Usa e Cina che potrebbe richiedere forti ripensamenti anche in Europa e nel resto del mondo.

In questa situazione Draghi prende il capo della matassa, il governo; gli altri problemi, ci perdoni, glieli poniamo sul tavolo, consci che non spetta solo a lui porvi rimedio.

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