Più di 16mila nuovi contagi e 137 morti, il dato più alto di questa quarta ondata (per trovare un bilancio peggiore bisogna risalire al 27 maggio scorso, quando si registrarono 171 decessi), con un tasso di positività salito al 4,8%. Le regioni con più casi sono Lombardia (+2.576), Emilia Romagna (+2.369) e Veneto (+2.304).
La Omicron spaventa l’Italia, e non solo, tanto che si torna a parlare di nuove restrizioni e, come in Olanda, di lockdown. Ma è tutta colpa di questa variante? Quanto è davvero pericolosa, visto che – per citare un esempio, proprio in Lombardia, regione con 10 milioni di abitanti, a fronte di 2.369 nuovi contagi ieri si sono contati 3 nuovi ingressi in terapia intensiva e 32 ricoverati in più? Rischiamo di rivivere scenari che, grazie ai vaccini, speravamo di non vedere più? “Premesso che oggi la Omicron incide poco, difficile fare una previsione – risponde l’epidemiologo Cesare Cislaghi -. Però, come l’anno scorso, in prossimità del Natale aumentano gli assembramenti e un po’ si abbassano le difese, per cui è prevedibile un aumento dei contagi”. Ma “anche grazie alle vaccinazioni – aggiunge Cislaghi – la virulenza e la severità sono in calo. Attenzione però: ammettiamo che il tasso di letalità diminuisca in percentuale, ma se i casi aumentano a dismisura, anche il numero di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi diventano più alti. La sostenibilità del sistema sanitario è data dai numeri assoluti, non dalle percentuali”. Quindi, meglio non abbassare la guardia, altrimenti “tutto riparte”.
La variante Omicron potrebbe tornare a sparigliare completamente le carte? E’ come la Delta? Rischiamo, cioè, di toccare nuovi picchi preoccupanti?
Premesso che in Italia la Delta non ha avuto una progressione spaventosa e non ha cambiato così profondamente il quadro della pandemia, va detto che le varianti che si vedono sono solo quelle più contagiose, perché quelle meno contagiose non si diffondono, prima o poi spariscono. Se poi le più contagiose sono anche le più virulente, la loro diffusione è più bassa, perché la strada maestra con cui i contagi si moltiplicano è data dagli asintomatici e dai paucisintomatici. Che infatti sono i maggiori vettori del virus.
Quindi?
Quindi è più facile che si diffonda una variante meno virulenta che più virulenta.
La Omicron in che categoria rientra?
L’attuale situazione epidemiologica è nata un mese fa circa, perché i contagi che vengono conteggiati non nascono in quel determinato giorno, fanno parte di una storia che risale a 3-4 settimane prima.
E questa storia che cosa ci racconta?
Che entrano in gioco contemporaneamente due fattori. Prendiamo la Gran Bretagna. Circa un mese fa si è decretata una sorta di “liberi tutti”, perciò è difficile dire oggi quanto l’aumento dei contagi sia dovuto a un effetto Omicron e quanto a un effetto Boris Johnson. E la stessa cosa si può dire per l’Olanda, la Danimarca e in parte anche l’Italia: riaprendo tutto, anche in assenza di varianti, aumentano le probabilità di contagio.
Ma quanto pesa oggi la Omicron?
In Italia finora non vediamo se non in misura molto marginale qualcosa che possa chiamarsi Omicron, eppure continuiamo a vedere l’aumento dei contagi, che potrebbero aumentare ancora di più qualora dovesse sovrapporsi un vero effetto Omicron. Ma ho un sospetto.
Quale?
Che tendenzialmente è come se si preferisse dare la colpa alla variante più che a provvedimenti o comportamenti assunti.
Se oggi non è la Omicron, la progressione dei contagi cui assistiamo è dovuta ancora alla variante Delta?
Sì. In Italia fino a due giorni fa i contagi aumentavano con una percentuale di circa il 25% ogni settimana, cioè un 3,5% al giorno in più. Una crescita moltiplicativa molto costante, da un mese, un mese e mezzo.
Nelle ultime 48 ore?
Abbiamo assistito a una leggera accelerazione, un aumento intorno al 4%. Ora bisogna vedere come si comporteranno i contagi nei prossimi giorni, perché i dati di ieri, come tutti i lunedì, fanno registrare meno casi, visto che si eseguono meno tamponi, e più decessi, visto che vengono comunicati anche i morti della domenica. Ma la letalità è costante intorno all’1%.
Qual è la severità della malattia indotta da Omicron, con il conseguente peso su reparti ospedalieri e terapie intensive?
Anche grazie alle vaccinazioni, pure con la Omicron la virulenza e la severità sono in calo. Attenzione però: ammettiamo che il tasso di letalità diminuisca in percentuale, ma se i casi aumentano a dismisura, anche il numero di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi diventano più alti. La sostenibilità del sistema sanitario è data dai numeri assoluti, non dalle percentuali.
Rispetto a un anno fa siamo messi meglio o peggio?
Sicuramente un anno fa i numeri di ricoveri e decessi erano ben più preoccupanti, anche se stiamo assistendo a un ritorno dei numeri dei contagi che speravamo di non vedere più.
Che cosa dobbiamo aspettarci?
Difficile fare una previsione. Però, da un lato, come l’anno scorso, in prossimità del Natale aumentano gli assembramenti e un po’ si abbassano le difese, per cui, anche senza pensare alla Omicron, è prevedibile un aumento dei contagi. Dall’altro, potrebbe poi aggiungersi una diffusione della Omicron, che è un po’ più contagiosa della Delta, e questo potrebbe essere un potenziale fattore di peggioramento, ma non sarà un disastro se la popolazione saprà mantenere le dovute precauzioni.
Dobbiamo temere che Omicron possa “bucare” i vaccini?
Sembrerebbe di no, almeno per chi ha ricevuto la terza dose. Ma non siamo in grado di dirlo con certezza, dobbiamo aspettare evidenze più certe. Quello che sappiamo è che l’immunità dopo la doppia dose finisce prima di quanto si sperava finisse: si pensava dopo un anno, poi 9 mesi, poi 6, adesso 5 e c’è già qualcuno che dice anche di meno…
Omicron potrebbe indurre il governo a introdurre il ricorso ai tamponi anche ai vaccinati che volessero partecipare a certi eventi e a cambiare, riducendola, la validità del Green pass. Che ne pensa?
Sono d’accordo sulla riduzione di validità del Green pass, che andrebbe portata a 6 mesi. Quanto ai tamponi ai vaccinati, l’idea è buona, ma la sua gestione è molto complessa: bisogna valutare attentamente il come, dove e quando. Certo, sarebbe molto utile nelle occasioni in cui si possono creare assembramenti eccessivi.
Il Green pass ha fallito?
No, perché il problema è probabilistico.
In che senso?
Non si risolve certo il problema in modo totale, radicale, si tratta di ridurre le probabilità di contagio, e il Green pass lo ha sicuramente fatto. Se aggiungiamo in alcune situazioni, là dove si può fare, anche i tamponi, riduciamo ancora di più queste probabilità, perché il Green pass garantisce più la protezione passiva e i tamponi solo quella attiva. Le due cose insieme, dunque, rafforzano lo scudo anti-contagi.
Davanti a un virus che rialza per l’ennesima volta la testa, gli italiani, che hanno sopportano una serie di restrizioni e si sono messi in fila per vaccinarsi, non corrono il rischio di lasciarsi andare allo sconforto, alla delusione, alla rabbia?
Sull’onda delle altre vaccinazioni classiche, gli italiani si erano fatti l’idea che, una volta inoculato il vaccino, poi non ci sarebbero stati più problemi. Ma i vaccini anti-Covid hanno una protezione più bassa. Un po’ la comunicazione, che aveva fatto credere che non sarebbe successo nulla, un po’ l’incapacità delle persone di ragionare in termini di probabilità fa sì che si arrivi alla delusione. Ma era evidente fin dall’inizio che i vaccini non avrebbero protetto al 100%.
Come se ne esce?
A mio avviso, usando una metafora scolastica, siamo come alle prese con la “sindrome del 6 acciuffato”: siamo un po’ come quegli studenti che, andando male in una materia, decidono di studiare e di prendere ripetizioni, finché raggiungono la sufficienza. Ma subito dopo allentano la presa e tornano a prendere brutti voti. Con il Covid è scattato lo stesso meccanismo: quando vediamo un calo dei contagi, crediamo che i problemi siano finiti e abbassiamo la guardia.
E invece?
Quando si prende un antibiotico, bisogna finire il ciclo completo, se si interrompe il trattamento a metà, è peggio. Così è per la prevenzione: bisogna avere il coraggio, quando le cose sembrano risolte, continuare a mantenere alte le precauzioni. Perché è in quel frangente, purtroppo, che tutto ogni volta riparte.
Arriveremo allora a un altro lockdown?
Penso di no.
(Marco Biscella)
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