Mentre è in corso la guerra in Ucraina, che ha superato già i due mesi di durata, emerge ormai in tutta la sua ampiezza la confusione globalizzata o se si vuole la globalizzazione della confusione. Non bisogna mai dimenticare che si muore ogni giorno nelle città ucraine per la ribattezzata “operazione militare speciale”, come la chiamano i russi per giustificare un’invasione, consueta come ai tempi dell’Unione Sovietica.
Ma pare che pochi si rendano veramente conto di questa tragedia e dove possa portare. In fondo i russi pensano a un’Ucraina che non esiste, la considerano “roba loro”. In questo caso non si ripete neppure il controllo “geopolitico” brutale che i sovietici fecero a Berlino nel 1953, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968 e poi in Polonia con l’operazione del generale Wojciech Jaruzelski.
Chi stroncò duramente all’inizio del secolo il libro di Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, deve ricredersi un poco ascoltando quello che dice sistematicamente il capo della Russia, Vladimir Putin, e come replicano i leader delle potenze occidentali. Tutto sembra ridursi a un confronto tra autocrazia e democrazia, più precisamente tra lo Stato nato in Oriente e quello concepito in Occidente.
Ma questo è solo l’aspetto di un problema molto più complesso che riguarda appunto il “nuovo ordine mondiale”, perché quello uscito con la pace di Parigi, dopo gli accordi di Teheran, Yalta e Poznan, è fallito e superato. E occorre costruirne un altro, funzionale alla pace e allo sviluppo, per non vivere un secolo di depressione sociale, culturale ed economica, che ha già caratterizzato un ventennio.
Nei passaggi epocali il momento della confusione arriva sempre e bisogna prenderne atto. Ma alla fine c’è qualcuno che riesce a trovare una via d’uscita, ammettendo errori e facendo prevalere la ragione, la civiltà e l’umanità all’orrendo gioco della forza e della guerra, sapendo bene che si cade facilmente nella “trappola di Tucidide”.
In un certo senso, questa guerra in Ucraina ricorda, più che l’ultimo dopoguerra (anche se Stalin si “mangiava” uno Stato dopo l’altro), la pace di Versailles del 1919, quando si doveva fare i conti con il crollo di tre imperi: quello asburgico, quello ottomano e quello zarista travolto dalla rivoluzione marxista in chiave leninista, quella dei soviet.
John Maynard Keynes, delegato britannico per il Trattato di pace, si dimise polemicamente e scrisse un libro che tutti dovrebbero leggere o rileggere, Le conseguenze economiche della pace. Keynes rimase stupefatto che, di fronte al crollo dell’ordine di prima della guerra, tre uomini “babbei”, quello “sempre in redengote nera”, Georges Clemenceau, il “bardo caprino”, David Lloyd George, e il “sognatore” americano Thomas Woodrow Wilson, fossero più preoccupati di impoverire e umiliare la Germania piuttosto che promuovere un processo di pace e sviluppo. Per questi tre “babbei” l’ordine era rimasto intatto. Keynes commentò duramente: “Non stanno facendo la pace, ma preparano la seconda guerra mondiale”. Winston Churchill disse la stessa frase.
Nonostante il Congresso degli Stati Uniti non abbia mai approvato il Trattato di Versailles, il presidente “sognatore” Wilson promosse nel 1920 “La Società delle Nazioni” a Ginevra (la progenitrice dell’Onu) che fallì negli anni Trenta di fronte alla guerra civile di Spagna, all’invasione dell’Italia in Etiopia e ad altre guerre, oltre alle iniziative di Hitler, che aveva già scritto e pubblicato nel 1925 il Mein Kampf, che conteneva il suo programma dettagliatamente e che pochi naturalmente lessero.
Si può dire, ironizzando amaramente, che di quella Società delle Nazioni a Ginevra è rimasto solo il Café de Paris in Rue Mont Blanc, dove si mangia la migliore entrecôte del mondo. Almeno quello!
Ma in sostanza Keynes dimostrò, con vent’anni di anticipo, che chi non prende coscienza di un ordine che è finito e non cerca di sostituirlo con un altro al passo con i tempi, in modo concreto e non etereo, va incontro a disastri inenarrabili.
Vengono i brividi alla schiena che non ci si renda conto che globalizzazione, sostenibilità immediata, riconversione ecologica immediata, Europa basata solo sull’euro, Wto con regole sbagliate, ruolo della finanza come perno politico, mercato ultra-libero, dislocazioni aziendali, dumping fiscale, disuguaglianze clamorose, e chi ne ha più ne metta, hanno prodotto un disastro e il fallimento dell’ordine che si manteneva sulla reciproca deterrenza tra blocchi contrapposti, fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e al fallimento del comunismo di Stato.
Il minimo che si sarebbe dovuto fare non era un G7 o un G20 o un convegno a Davos, ma una conferenza internazionale, una sorta di Congresso di Vienna come nel 1815 dopo la “ventata” napoleonica, dove affrontare il ruolo delle grandi potenze e i nuovi rapporti intercontinentali.
Non è capitato nulla di tutto questo, forse perché una Waterloo applicata al comunismo dava fastidio a chi era stato comunista e a chi aveva coltivato alleanze e collaborazioni piuttosto “complicate”, anche con i servizi segreti dietro le quinte.
Il paradosso è che ci si fidò soprattutto del Mercato (con la m maiuscola) e dell’Onu per il nuovo ordine, preso in scarsa considerazione, perché era quasi inutile cambiarlo. In sostanza, per usare ancora un po’ di ironia, ci si è comportati come un verso di una celebre canzone di Enzo Jannacci: “Quelli che con una bella dormita passa tutto… anche il cancro”.
È stato un segnale orrendo, nella tragedia della guerra attuale, quello del colloquio tra il segretario dell’Onu Antonio Guterres e il premier ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev, sfregiata dallo scoppio di due missili lanciati dai russi al centro della capitale ucraina.
Ma in fondo che cosa conta l’Onu, con un Consiglio di sicurezza di cinque membri che possono ognuno mettere il veto su qualsiasi decisione e sono divisi 3 a 2: Usa, Francia, Gran Bretagna da una parte, Cina e Russia dall’altra?
Di fronte a un simile disordine ci sono quattro passaggi da affrontare al più presto. Primo: ottenere in ogni modo, anche attraverso minacce (che nessuno vuole o può in realtà rischiare di prendere), un “cessate il fuoco” e una tregua; secondo: riunire una conferenza tra le grandi potenze emergenti o in crisi; stabilire una convivenza realistica, basata anche su una forte deterrenza armata; quarto: studiare, correggere ed eliminare gli errori di questi ultimi trent’anni, prevedendo al contempo il futuro di un nuovo ordine mondiale.
Di fronte a queste scadenze, che a noi sembrano obbligate, occorre che la diplomazia ritorni a fare il suo mestiere: non parli e agisca, non faccia trapelare nulla e realizzi il meglio possibile.
P.S. Di fronte a una situazione tanto drammatica ci si conceda una nota aggiuntiva dedicata all’Italia. Lasciamo perdere i dibattiti televisivi e le informazioni sgangherate. Lasciamo perdere le distinzioni che disorientano persino alcuni generali che partecipano a trasmissioni: che cosa è la distinzione tra armi difensive e armi offensive? Il cannone è difensivo o offensivo? La mitragliatrice è di destra, di centro o di sinistra?
Infine un suggerimento a sedicenti studiosi, professori di ogni tipo, presidi universitari di ogni tendenza: fate conoscere la Resistenza dopo aver assistito all’ultimo 25 aprile e date agli studenti questi compiti per le vacanze attraverso alcune domande: chi era il capo del Clnai e poi del Cln, cioè della Resistenza? Sperando che almeno le sigle si conoscano, si chieda anche chi erano i vice e il comandante militare. Poi si domandi che cosa ha rappresentato la cassa della “quarta armata”, quella che era al confine francese. Quindi si racconti dei Patti di Roma del novembre 1944 e chi vi partecipò. Anche quello che ci diedero e ci dissero gli Alleati.
Un piccolo sguardo anche ai rapporti tra l’Anpi e Ferruccio Parri e non solo.
Sarebbe bello evitare i fischi alla Brigata ebraica e superare divisioni demenziali con i fischi agli alleati, Persino Palmiro Togliatti “il Migliore” li ringraziò pubblicamente il 31 dicembre 1945. Insomma un minimo di conoscenza per non coinvolgere anche la guerra in Ucraina nel ruolo, alla fine fallito, dei comunisti italiani, oggi in parte contestati addirittura come “servi della Nato”.
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