Il nuovo patto tra M5s e Pd, con la benedizione di Italia viva di Matteo Renzi, certamente da un lato consolida e chiarisce il quadro politico del momento, ma anche introduce il primo di una serie elementi nuovi che incrina un quadro politico già altamente instabile.

Infatti il presidente del consiglio Giuseppe Conte era stato scelto nel primo governo M5s-Lega (giallo-verde) come elemento esterno (anche se espresso da M5s) per sostenere l’equilibrio instabile tra i due alleati. Per lo stesso motivo era stato confermato a capo del Governo un anno dopo con la coalizione stavolta giallo-rossa.



Ma se oggi la coalizione giallo-rossa diventa stabile e si prospetta addirittura la fusione in un partito, a che serve un premier “esterno” come Conte? La coalizione ora stabile esprime un suo premier interno e stabile, o no?

Certo la linearità del pensiero non si addice ai meandri tortuosi della politica italiana, costruiti su piramidi di retro-pensieri. Ma il punto rimane e si rafforza, specie se si guarda all’orizzonte generale.



Le prospettive sono che a gennaio l’Italia si renderà conto della realtà – una contrazione del Pil di almeno il 20%. Infatti dopo cinque mesi di chiusura virtualmente totale di ogni attività di produzione e consumo, e con la possibilità reale di un ritorno dell’epidemia, anche parziale, in autunno, una contrazione del Pil del 20% è un’ipotesi ottimistica per il 2020.

In concreto questo significa un danno paragonabile una guerra devastante, senza per giunta la speranza di un rimbalzo immediato, perché davanti alla scampata morte violenta i sopravvissuti hanno un immediato guizzo di vita, mentre le epidemie lasciano strascichi pesanti di paure ancestrali nella psicologia collettiva.



La combinazione di questi vari elementi significherà milioni di disoccupati, altri milioni di persone con entrate decurtate. Quindi ciò implicherà grandi problemi e sommovimenti sociali.

Inoltre, visto anche l’attuale aumento della spesa pubblica, il rapporto Pil-debito pubblico a questo punto potrebbe arrivare al 200%; la situazione del Giappone senza che l’Italia sia il Giappone. Diversamente dai giapponesi infatti gli italiani non sono disposti a finanziare a tassi inferiori rispetto al mercato il proprio debito pubblico.

Con un’economia in contrazione verticale e un debito in aumento altrettanto verticale, minime variazioni dei tassi di interesse sul debito potrebbero rendere l’Italia insolvibile. Certo a questo punto Roma può sempre piangere miseria con la Ue e far presente che il fallimento del paese avviterebbe l’Unione in una crisi mostruosa.

Ma proprio la contrazione del Pil rende la crisi italiana sempre meno minacciosa, mentre la crescita del debito ne aumenta proporzionalmente il costo. Cioè col passare del tempo e l’aggravarsi della situazione nella penisola diventa sempre più conveniente la tentazione di scaricare l’Italia.

In più, visto che l’etica gioca un suo ruolo, come si fa a spiegare ai paesi frugali che bisogna salvare un paese di “cicale” dove, secondo il filosofo Franco Ferrarotti, una decina di famiglie possiede forse il 70% della ricchezza nazionale?

Inoltre, prima di questo, in autunno ci sarà il ritorno della malattia, che potrebbe essere maggiore o minore della prima tornata di primavera; in ogni caso aumenterà le tensioni, come già si inizia a vedere.

Prima ancora ci saranno le elezioni del 20 settembre. Se la neo-coalizione giallo rossa tiene e vince, allora conferma la validità dell’alleanza; a quel punto perché tenere l’arbitro Conte, ormai superfluo? Se invece la coalizione perde, anche in questo caso perché tenere Conte?

La questione potrebbe diventare urgente, visto che cominciano ad arrivare citazioni in giudizio per possibili errori gravi del Governo durante la crisi del Covid. C’è anche la controversa chiusura di tutto il paese (quando chiuderne solo una parte poteva bastare) che potrebbe essere costata oltre cento miliardi di euro al Pil, la metà di quanto concesso dalla Ue.

Naturalmente il ragionamento può essere anche diverso.

Davanti alle prospettive di tali sussulti nei prossimi mesi, le istituzioni possono pensare, con ragione, che è opportuno non scuotere ulteriormente gli equilibri in essere.

Il ritorno dell’epidemia potrebbe portare a un nuovo effetto chioccia: tutti si rifugiano dietro il capo del governo in una nuova situazione di panico generale.

Ma potrebbe essere anche il contrario. Il ritorno del virus, l’aumento delle proteste stavolta più composte delle opposizioni, che prima o poi dovrebbero svegliarsi dalla trita cantilena del “dagli all’immigrato”, e l’aumento delle tensioni sociali, potrebbero portare al progressivo isolamento del premier.

In questo senso forse l’alleanza può essere un colpo di genio di attendismo tattico. Nell’attuale situazione altamente instabile i giallo-rossi con Renzi aspettano il risultato del 20 settembre per tirare le fila. A quel punto, forti della nuova alleanza, potrebbero anche essere tentati di ricorrere al voto che consolidi i nuovi rapporti e spazzi via i riottosi.

Infatti una parte non insignificante di Pd e M5s non sono entusiasti per l’alleanza e possono essere tentati di mettere i bastoni fra le ruote, specie se passa il tempo e aumentano le difficoltà. Si è trattato di un patto di palazzo senza discussioni interne e pubbliche, per cui il livello di coesione all’interno delle due formazioni è minimo e rischia di sfaldarsi al primo incidente.

Naturalmente tutto può cambiare rapidamente. I politici italiani avranno difficoltà sulla strategia, ma sono geni della tattica. Forse si è messo in moto qualcosa che potrebbe portare anche lontano.