La Nadef approvata mercoledì dal Governo presenta un quadro economico del Paese migliore delle aspettative, soprattutto per quel che riguarda la crescita del Pil di quest’anno. Mai come in questo caso, tuttavia, le apparenze rischiano di ingannare. Come ci spiega Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, infatti, l’esecutivo sta compiendo “un errore strategico mostruoso. Per rendersene conto basta fare un confronto con il Def di aprile, varato da questo stesso Governo”.
Professore, come mai un giudizio così duro sulla Nadef?
Perché rappresenta l’ennesima occasione persa per essere meno austeri e più espansivi. Durante la conferenza stampa di presentazione della Nadef, il ministro Franco ha detto che nel documento ci sono cambiamenti molto grandi rispetto al quadro delineato in aprile con il Def. Purtroppo dobbiamo prendere atto che queste modifiche significative vanno nella direzione opposta, quella di un anticipo dell’austerità, rispetto a quella che il nostro Paese dovrebbe perseguire visto che dai recentissimi dati Ocse emerge che a fine 2022 saremo il fanalino di coda in Europa nella crescita rispetto ai livelli pre-Covid. Faremo persino peggio della Spagna che ha sofferto una caduta del Pil nel 2020 superiore alla nostra.
Come si spiega questo rimbalzo così forte che avrà la Spagna?
Basta andare a vedere i dati relativi all’aggiustamento fiscale dei vari Paesi europei per scoprire che mentre la Spagna in questi anni post-Covid ridurrà il deficit su Pil del 3-4%, noi lo taglieremo di circa il 6-7%. Siamo quindi il Paese che adotterà la politica fiscale triennale più restrittiva di tutti.
Torniamo a quello che diceva prima, cioè al fatto che per rendersi conto dell’errore commesso dal Governo basta confrontare la Nadef con il Def.
Nel Def si ipotizzava un deficit/Pil in calo dall’11,8% del 2021 al 3,4% del 2024, con una forte restrizione di quasi sei punti già nel 2022, visto che si stimava un 5,9%. Nella Nadef, il traguardo finale del 2024 è simile, pari al 3,3%, nel 2022 si punta a un 5,6%, ma il vero dato da guardare è il punto di partenza: il deficit/Pil del 2021 non è più pari all’11,8%, ma al 9,4%. Ciò vuol dire che il Governo ha rinunciato a pompare nel sistema economico, rispetto a quanto promesso ad aprile, il 2,4% di deficit/Pil.
Professore, qualcuno potrebbe farle notare che nel Def si parlava di un Pil del 2021 pari al +4,5%, mentre ora è stato portato al +6%. È normale quindi che il rapporto deficit/Pil si riduca…
Sì, ma se guardiamo all’indebitamento netto strutturale, al netto quindi delle una tantum e della componente ciclica, si passa dal 9,3% del Pil del Def al 7,6% della Nadef. Quindi della riduzione del 2,4% del deficit/Pil, ben l’1,7%, cioè più di due terzi, è dovuto a una scelta del Governo. In conferenza stampa Franco ha parlato non solo di maggiori entrate, ma di spese che sono risultate inferiori alle attese. Il che vuol dire che l’esecutivo ha scelto di ridurre il deficit quando avrebbe potuto mantenerlo all’11,8% del Pil destinando risorse a investimenti pubblici, quelli che avrebbero aiutato la ripresa in un momento in cui l’Italia ha bisogno di crescere più degli altri Paesi per recuperare il ritardo nei loro confronti. Come parziale attenuante c’è da dire che questa scelta assurda l’aveva fatta anche il Governo Conte 2.
Quando?
Nella Nadef dello scorso anno si stimava un deficit al 10,8% del Pil per il 2020. Con il Def di aprile 2021 abbiamo invece scoperto che il 2020 si è chiuso con un deficit/Pil pari al 9,5%. Anche allora, quindi, di fronte a un miglioramento della situazione, anziché confermare una politica espansiva si è deciso di non immettere risorse nell’economia. Di fatto, oggi come allora, ci si preoccupa soltanto della riduzione dell’indebitamento e non della crescita che un maggior indebitamento può generare. Questo quando Draghi stesso ha riconosciuto una cosa importantissima.
Quale?
In conferenza stampa ha detto: “Il debito pubblico è in lieve discesa e mi sono chiesto cosa significa: è la prima conferma che dal problema dell’alto debito pubblico si esce prima di tutto con la crescita”. Bisognerebbe quindi fare tutto quello che è in nostro potere per generare maggiore crescita. Invece il Governo, rinunciando a quanto annunciato nel Def sul deficit/Pil, rinuncia a ridurre ulteriormente il debito pubblico su Pil mediante investimenti pubblici, che tra l’altro con un premier come Draghi sarebbero stati di qualità e portati a termine.
Di fatto è come se il Governo prendesse atto dell’importanza della crescita per ridurre il debito/Pil, ma poi non agisse di conseguenza.
Esattamente. Il Governo, come dimostrano le parole di Draghi, prende atto delle determinanti del debito/Pil, ma rinuncia poi a ridurre ulteriormente tale rapporto. Cosa più grave, a mio avviso, rinuncia alla crescita con un anticipo di austerità che ha un effetto anche sul Pil del 2022, che nel Def era previsto in crescita del 4,8%, mentre ora è stimato al +4,7%. L’obiettivo quindi non è tirare fuori il Paese dalle secche, ma arrivare in modo totalmente meccanico a un deficit/Pil al 3% tramite l’austerità, non riuscendo a capire che lo si può fare molto più naturalmente e con più benefici adottando politiche non austere. Nei fatti siamo di fronte alla conferma che Bruxelles ci concede le risorse che utilizziamo per il Pnrr se e solo se attuiamo queste politiche folli che continuano a renderci la Cenerentola d’Europa.
La scelta fatta sul deficit potrebbe rientrare in uno scambio con Bruxelles, tenuto conto dei ritardi che il Paese sta accumulando sul fronte delle riforme inserite nel Pnrr?
Non c’è dubbio che ci sia uno scambio assolutamente perverso con l’Europa, che non riesce a comprendere che riforme e politiche a sostegno dell’economia devono andare di pari passo. Questo scambio rappresenta una sorta di “patto scellerato” se teniamo anche conto che, presi dalla frenesia di mostrare all’Europa che facciamo le riforme, alla fine finiscono per essere realizzate male o solo sulla carta. Pensiamo a quella della giustizia, dove si rischia di non intervenire adeguatamente sulle assunzioni all’interno della magistratura e non essere in grado quindi di supportare la prevista riduzione dei tempi dei processi, con il risultato finale di dare minori, e non maggiori, certezze. E che dire poi dei concorsi pubblici nell’ambito del Pnrr con i quali si sceglie di coprire ruoli fondamentali soltanto a tempo determinato e con una selezione basata su quiz a risposte multiple e considerando il voto di laurea? Non è certo così che ci si assicura di assumere i migliori.
Vede questo rischio anche nella riforma del catasto?
Non c’è dubbio che una riforma del catasto vada fatta, spero che avvenga senza fretta e ricordando che le riforme diventano più facili da realizzare e hanno maggior chance di successo quando l’economia si trova in una fase di forte rialzo e di conseguenza i cittadini non vivono un momento di stress o difficoltà. Noi non siamo in tale situazione, nonostante le apparenze di un +6% di Pil. Continuiamo a essere la Cenerentola d’Europa che ancora non ha recuperato i livelli di Pil pre-2008 e che ancora non ha capito l’importanza degli investimenti pubblici per la crescita.
(Lorenzo Torrisi)
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