Trovare una leadership al Partito democratico dopo l’annunciata e prevista ritirata di Letta appare impresa ardua. Le scuole di pensiero ondeggiano tra una strategia imitativa ed un rilancio interno. La possibilità di lanciare la deputata Elly Schlein come leader del futuro Pd appare una buona mossa per coprire la sinistra e dare l’assalto ai voti grillini. Una giovane e capace donna in grado di fare da contraltare alla Meloni sarebbe una risposta culturalmente innovativa per il Pd e sposterebbe la sintonia del partito sulle onde grilline. La giovane età, la cultura che incarna, possono funzionare sul piano mediatico e politico per un rimbalzo tecnico dopo la caduta elettorale, imitando le scelte della destra (un donna giovane al comando) e appropriandosi dei temi del maggiore antagonista (i 5 Stelle) sperando che l’imitazione dei due, sommandosi, dia un prodotto migliore degli originali.



Ma il rischio è che il Pd si trasformi in una copia dell’originale senza averne il medesimo radicamento sociale. I ceti popolari del Mezzogiorno, bacino elettorale ormai perso da decenni, sono allergici alla cultura pragmatica emiliana ed il dialogo con le forze moderate sarebbe molto più complesso. Il rischio è che la struttura “governista per vocazione” del partito si perda senza acquisire forza elettorale sufficiente dal pozzo dei voti di Conte. Un rischio altissimo, in grado di sfilacciare quel che resta del partito sino a portarlo ad una consunzione per logoramento.



Una soluzione sempre interna, sempre emiliana, alla Bonaccini per intenderci, puzzerebbe invece un po’ di stantio, come un affidabile cappotto del nonno. Un uomo certo capace di governare, ma che ha il profilo di Letta, di Renzi e di altri segretari bruciati da un elettorato che pare non espandibile e da un gruppo dirigente che si rinnova rimanendo sempre lo stesso. Sarebbe una guida più collegiale e di attesa degli eventi, che non mancheranno nel corso della legislatura, ma segnerebbe una continuità del tutto inconciliabile con la volontà di uscire dall’angolo che il Pd deve avere se vuole trovare una sua strada.



Ed ecco che nelle discussioni viene fuori il vero tema. Cosa è il Pd e a cosa serve.

Se è la casa del riformismo sociale e vuole dialogare con i ceti produttivi, deve avere il coraggio di proporre delle alternative culturali al massimalismo statalista che in larga parte lo anima. Deve accettare la sfida della modernità partendo da una critica di ciò che per anni ha difeso. Un percorso culturale prima che politico in cui coinvolgere i “garantiti” (che sono gran parte del suo elettorato) proprio per aumentare il loro benessere e dare maggiore certezza del futuro seguendo una strada nuova fatta di riforme sociali, di accettazione di modelli di sviluppo che aprono al mercato e tendono a riformare lo Stato come obiettivo primario.

Se invece intende diventare, assieme ai 5 Stelle o prendendone il posto (a patto di riuscirci) il punto di riferimento di un popolarismo di sinistra fatto di diritti da difende e conquistare, rigettando ogni ipotesi di sfida o di cambiamento che non sia improntata da politiche apertamente redistributive del reddito (per via fiscale o mutando i rapporti di forza tra capitale e lavoro) dovrà archiviare la stagione del riformismo e lavorare per una società più statica, più statalizzata ed al contempo più sicura ma certamente meno riformista.

Nel mezzo tra queste due scelte c’è l’ibrido attuale. Che dialoga con tutti, alla sua destra ed alla sua sinistra, ma non aggrega nessuno e che ha perso anche l’ultimo baluardo dell’antifascismo come linea di difesa dagli assalti elettorali della destra. Se i dem vorranno sciogliere questo dilemma di fondo, e ne avranno il coraggio, solo allora il profilo giusto per il successore di Letta verrà fuori. Ed è quasi necessario che per arrivarci serva un congresso vero e duro, che faccia emergere chi rappresenta il Pd e chi vuole rappresentare in futuro, senza pensare troppo alle beghe elettorali o alle crisi di governo che verranno, per quelle c’è tempo. Per il futuro del Partito democratico, invece, molto meno.

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