Si fa presto a dire “campo largo”: Conte sarà un osso duro, Beppe Sala a Milano sceglie i verdi (tedeschi) e l’Emilia è targata Pd solo grazie alle sardine, il resto del Nord gli ha voltato le spalle, dice Fabrizio d’Esposito, cronista e commentatore politico del Fatto Quotidiano. Per rilanciare il Pd il neosegretario Enrico Letta ha subito cominciato a piantare bandierine identitarie come lo ius soli e il voto ai 16enni. Temi che potrebbero spiazzare ulteriormente i dem rispetto ai problemi gravi che il governo Draghi – il “nostro governo”, ha detto Letta – sta affrontando.
Prima la cronaca. Cominciamo dai vice?
Letta aveva detto di voler guardare ai territori, ma sia lui che i vicesegretari vengono tutti dalla carriera universitaria. Mi sarei aspettato che facesse vice un sindaco o una sindaca, invece ha ripescato la Tinagli dalle nebbie del montismo, un profilo iperliberista, una sorta di Calenda in gonnella. Bilanciata, va detto, a sinistra dalla scelta di Provenzano, che è stato ministro, ma è pure lui uno studioso.
Letta ha parlato di dialogo “con il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte” da condurre “con rispetto e ambizione”. Secondo te che cosa intende fare?
È prematuro dirlo. Se badiamo alle dichiarazioni che precedono la sua elezione a segretario del Pd, Letta ha avuto parole positive per Conte. Sa che l’istituzionalizzazione di M5s può aiutare la nuova alleanza di centrosinistra.
L’alleanza Pd-M5s non sia solo elettorale, ha detto Di Maio.
Finalmente si è interrotto il silenzio di M5s. L’alleanza dovrà essere strutturale; come, non lo sappiamo. Però qualche segnale c’è.
Ad esempio?
Letta ha congelato il dossier amministrative. Bisognerà studiare, capire come conciliare le cose inconciliabili. Inoltre ha dichiarato morto il proporzionale, che faceva parte del patto di governo Zingaretti-M5s.
Saranno le amministrative a dire chi comanda nell’alleanza giallorossa?
No, l’alleanza sarà l’esito di un percorso più lungo. Letta vuole un campo largo di centrosinistra che recuperi quanti più voti possibili. Le amministrative saranno in autunno e come saranno allora M5s e Pd non lo sappiamo. In politica in sei mesi può cambiare tutto.
Come valuti l’opzione Mattarellum alla quale Letta si è detto favorevole?
Può convenire anche al centrodestra. Io però credo che alla fine non si riuscirà a fare nessuna riforma elettorale, non vedo margini per modificarla. Penso che andremo a votare con il Rosatellum.
Letta Ha in mente una sorta di nuovo Ulivo?
Sarebbe datato. Non può limitarsi a riproporre una cosa vecchia, serve una nuova formula. Fornaro (Leu) al Fatto ha detto che serve un partito unico che tenga dentro una pluralità di posizioni, idem Bersani: sinistra ampia, plurale, fatta di società, non solo di politica.
Bersani e Calenda sono destinati a rientrare nel Pd lettiano?
La scissione di Bersani e D’Alema già non aveva più senso con Zingaretti segretario, adesso ne ha ancora meno ed è probabile che rientrino. Calenda e Renzi no. Calenda si è spinto troppo avanti, ed entrambi hanno un consenso minimo.
Letta ha parlato di molti temi. Troppi?
Ha piantato delle bandierine, molte delle quali a uso e consumo interno. Come sarà difficile trovare un accordo sulla legge elettorale, sarà impossibile fare lo ius soli. Non parliamo del voto ai 16enni.
Perché?
Perché questa è una maggioranza alle prese con ben altri problemi, dalle vaccinazioni al caos AstraZeneca. A dire il vero, Letta non mi è sembrato dare il giusto peso all’emergenza nella quale ci troviamo.
Però ritirando fuori lo ius soli ha subito dato fastidio a Salvini. È possibile che intenda andare avanti su questa linea per logorare la Lega da alleato di governo?
Agitando lo ius soli, Letta fa soltanto un favore a Salvini. Non che non sia importante, ma siamo in emergenza. Piuttosto, c’è una contraddizione nel parlare del governo Draghi come del “nostro governo”, inteso del Pd.
Dove starebbe la contraddizione?
Nell’obiettivo di riportare il Pd tra la gente, dichiarandosi amico del maggiore tecnocrate in voga nel paese. È difficile mettere il cappello su un governo tecnico. Nei governi tecnici sono destinati a farsi male tutti.
È anche il governo di Mattarella, non dimentichiamolo.
Sì, ma a forza di donare sangue ai governi tecnici il Pd ha pagato un prezzo molto alto. Salvo la parentesi gialloverde, il Pd è al governo dal 2011 ed è diventato un partito solamente di potere. Così facendo ha messo insieme tutto e il suo contrario, e il 17 per cento di oggi lo dimostra. Se dici che il governo Draghi è tuo, devi toccare palla sulle vaccinazioni, sulla scuola chiusa, non sullo ius soli.
Però lo ius soli è un tema certamente gradito ad un’ampia parte della Chiesa italiana. Alla Cei piacerà più Letta o Conte?
La Chiesa di Bergoglio è antisalviniana e la Cei è stata con tutti meno che con Salvini. Se ci mettiamo a contare tutte le uscite su migranti e accoglienza, il senso è chiaro. Salvini ha i sui riferimenti in Benedetto XVI, in Burke, in Ruini. Però questo gioco delle casacche, che appassiona tanto noi giornalisti, ha poco senso.
Che cosa intendi?
È chiaro che la Cei deve dire la sua, ma tutte le rilevazioni hanno dimostrato che i cattolici in grande maggioranza hanno votato per M5s e Lega e non gliene importa molto dell’opinione della Cei. Ciò detto, quello di Letta è un messaggio che da quelle parti piace.
M5s-Conte, governo Draghi, correnti Pd: qual è il fronte più delicato per il nuovo segretario?
Quello interno al Pd è sicuramente il più problematico. Le correnti possono far dimettere un segretario, com’è successo a Zingaretti e come successe a De Mita; servono a gestire poltrone, ma non portano consenso nel paese, che è la vera scommessa di Letta.
Riuscirà a farlo?
Lo vedremo. Teniamo presente che per quanto competente e preparato, Letta è un film già visto. Il suo governo era statico, arrancava. Renzi fu portato a Palazzo Chigi in modo trionfale.
Napolitano fu determinante.
È vero, però non dimentichiamoci che nella direzione nazionale che sancì la fine del governo Letta, i primi a dire che quel governo era finito furono Dario Franceschini e Roberto Speranza.
Non credi che la scelta “verde” di Beppe Sala sia un grosso problema per Letta? È come se il sindaco di Milano avesse detto: il tuo Pd non è il mio, non mi riguarda.
È una perdita grave. Dovrà fare a meno di Sala. Il problema è sempre lo stesso: perde consenso dove e quando dovrebbe guadagnarne.
Con Sala potrebbe perdere un elettorato certamente progressista ma libero, attento ai temi ecologici rilanciati da Grillo.
Sala non ha fatto l’alleanza con i 5 Stelle e si deve caratterizzare a sinistra, parlando a entrambi gli elettorati. Soprattutto però mette il dito nella più grande piaga del Pd. Nel cuore produttivo del paese non governa nessuna regione e ha conservato l’Emilia solo grazie alle sardine.
Con Letta in campo come cambia la partita del Quirinale nel 2022?
La corsa al Colle può far saltare l’equilibrio delle correnti nel Pd. Draghi è il primo candidato e può venire facilmente eletto se lo votano tutte le forze che lo sostengono in questo momento. C’è un inconveniente: se Draghi deve fronteggiare la crisi, non può lasciare Palazzo Chigi. A quel punto i candidati sono tre: Cartabia, Franceschini e Gentiloni. In più, Renzi sta facendo filtrare da più parti la sua preferenza per Casini.
C’è la possibilità che Mattarella si veda rieletto per un anno, in modo da permettere il congresso del Pd, la fine della legislatura, il disimpegno di Letta in prospettiva Quirinale?
Al momento non vedo le condizioni perché Mattarella possa accettare una rielezione. È stato lui stesso a escluderlo. Però la politica è evoluzione continua. Alcuni punti però sono chiari.
I più salienti?
Questa è l’ultima possibilità che la sinistra ha di determinare l’elezione del Capo dello Stato. La rielezioni di Mattarella per un anno e il voto nel 2023 consegnerebbero il Quirinale al centrodestra. E c’è un’altra lezione che viene dalla storia recente.
Quale?
La disfatta del Pd nel 2013 che ha portato al governo Letta è cominciata con la rielezione di Napolitano. Sul Quirinale, insomma, ci si può fare molto male.
(Federico Ferraù)
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