L’Istat ha diffuso ieri i dati definitivi sul Pil del quarto trimestre 2023, chiuso con una crescita congiunturale dello 0,2% e tendenziale dello 0,6% (la stima iniziale comunicata a fine gennaio era del +0,5%). Rispetto al trimestre precedente sono scesi i consumi, specie quelli delle famiglie, mentre sono aumentati gli investimenti. A livello di settori, l’industria, sospinta dalle costruzioni, è cresciuta dell’1,1%, mentre hanno fatto registrare una flessione l’agricoltura e i servizi. Infine, la crescita acquisita per il 2024 è ora pari al +0,2% (contro una stima iniziale del +0,1%). Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «questi dati descrivono un quadro di stabilizzazione che pone il nostro Paese al di sotto della crescita di cui ha bisogno, almeno intorno al 2% l’anno».
Può aiutarci la messa a terra del Pnrr a far crescere di più l’economia?
C’è da auspicarlo, anche se non è ben chiaro quanto peseranno i ritardi nell’attuazione del Piano. Quel che occorre è una politica fiscale che, con le risorse disponibili, possa consentire di avvicinarsi il più possibile a quel target poc’anzi ricordato. Al momento, purtroppo, sembra già difficile poter arrivare a una crescita dell’1%.
Non sembra esserci molto spazio per la politica fiscale. La scorsa settimana l’Istat ha detto che, a causa soprattutto del Superbonus 110%, il deficit su Pil del 2023 si è attestato al 7,2% anziché al 5,3% stimato dal Governo. Considerando l’impegno preso a portare quest’anno il rapporto al 4,3%, ci sarebbe da ridurre il disavanzo su Pil del 2,9%…
È troppo. Stiamo passando da una situazione in cui abbiamo potuto vantare per decenni un avanzo primario positivo a una condizione di squilibrio che non lo permette più. Il mio timore, tra l’altro, è che le ricadute negative sui conti pubblici del Superbonus non siano finite.
Cosa si può fare per evitare il peggio su questo fronte?
Diventa centrale il moltiplicatore keynesiano. Sappiamo che ci sono settori in cui un aumento della spesa genera per diffusione una crescita del Pil di valore più alto. Per la situazione in cui ci troviamo diventano fondamentali gli investimenti con un moltiplicatore elevato.
Come si possono finanziare investimenti quando occorre ridurre il deficit su Pil?
Occorre spesa esogena dal bilancio pubblico. Per esempio, quella legata al Pnrr, che utilizza fondi europei, o gli investimenti privati, sia esteri che italiani. Sono fondamentali per evitare l’aumento del disavanzo.
Sugli investimenti pesano, però, i tassi di interesse che sono a un livello elevato…
È così. Mi sembra che alla Bce si stia cercando un modo per ovviare al fatto che non ci sono più le aste Tltro per facilitare il credito tramite la creazione di uno strumento che persegua lo stesso obiettivo. Speriamo che l’Eurotower riesca a trovare il modo di facilitare il credito finalizzato agli investimenti.
In questo momento abbiamo, quindi, da un lato, il Patto di stabilità e, dall’altro, la Bce che non ci rendono la vita facile.
Sì, in questa situazione non c’è altra strada che quella della crescita per migliorare anche i rapporti fondamentali per il bilancio pubblico: deficit/Pil e debito/Pil.
Nel frattempo non è incoraggiante il dato sulla spese delle famiglie in diminuzione in un trimestre in cui l’inflazione era in discesa.
Purtroppo non lo è. Anche per questo gli investimenti diventavano importanti, perché possono aumentare l’occupazione e i redditi delle famiglie.
Gli investimenti sono importanti, ma come finanziarli in attesa di eventuali mosse della Bce?
In questo momento il risparmio è il re dell’economia, l’abbiamo anche visto la scorsa settimana con la terza emissione del Btp Valore. Riuscire a trasformare il risparmio immobilizzato, che nel nostro Paese esiste, in investimenti produttivi è la chiave per ritornare su un sentiero di crescita più rassicurante sia per le famiglie che per i conti pubblici.
(Lorenzo Torrisi)
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