La stima preliminare del Pil nel terzo trimestre dell’anno diffusa ieri dall’Istat parla di una crescita zero rispetto al trimestre precedente e di un +0,4% tendenziale, quale risultato di una diminuzione del valore aggiunto dell’agricoltura e dell’industria e di un aumento di quello dei servizi. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «c’erano alcuni elementi che lasciavano pensare a un risultato di questo tipo, dai dati sulla produzione industriale ancora molto deboli a quelli non entusiasmanti sull’andamento dell’export. Francamente mi sarei aspettato almeno una crescita di un decimale, perché i servizi avevano mostrato una buona dinamica e anche i numeri inerenti il turismo internazionale erano stati molto positivi nel corso dell’estate. C’è comunque ancora la speranza di una revisione al rialzo con il dato definitivo che verrà diffuso a inizio dicembre».
L’Istat ha fatto sapere che la crescita acquisita del Pil per il 2024 è pari al +0,4%. Sembra improbabile, a questo punto, raggiungere il +1% stimato dal Governo…
Sì e l’effetto combinato del rallentamento del Pil nel terzo trimestre e della revisione sui conti economici nazionali per gli anni dal 2021 al 2023 operata dall’Istat il mese scorso rende non semplice il raggiungimento di una crescita complessiva nell’anno dello 0,7-0,8% come recentemente stimato da Fmi e Confindustria. Non va, tuttavia, sottovalutato un aspetto non secondario.
Quale?
Il dato sulla crescita acquisita è destagionalizzato, mentre per il Pil annuale è calcolato sulla base di dati grezzi. Considerando che il terzo trimestre ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e che la crescita acquisita dopo quest’ultimo sulla base dei dati grezzi era stata di poco superiore allo 0,5%, non sembra difficile arrivare almeno a un +0,6% complessivo a fine anno. Ovviamente per andare oltre servirà una qualche accelerazione nell’ultimo trimestre.
Da dove potrebbe arrivare questa accelerazione visto che dalla grande industria, pensiamo solo a quella dell’auto, non arrivano segnali incoraggianti?
L’effetto spinta potrebbe essere legato a una ripresa seppur minima delle esportazioni, soprattutto verso i Paesi extra-Ue, ma lo scenario internazionale al momento non appare molto positivo. Potrebbero essere, quindi, gli investimenti a dare un primo contributo importante.
Investimenti pubblici o privati?
Soprattutto pubblici: bisognerebbe che le risorse legate al Pnrr si trasformassero finalmente in Pil con un’accelerazione degli investimenti. Ma non dobbiamo escludere una ripresa degli investimenti privati. Le nostre imprese, infatti, non sono deboli, stanno studiando cosa fare in questa situazione non facile e stanno cominciando a riprendere in mano il dossier degli investimenti. L’indice degli ordini di Ucimu del terzo trimestre mostra in tal senso qualche segnale di speranza. Vedremo anche se riuscirà a decollare il Piano Transizione 5.0. Una spinta al Pil nell’ultimo trimestre potrebbe arrivare anche dalle famiglie.
In che modo?
Nel nostro Paese c’è in questo momento un quadro sociale e di sentiment delle famiglie da non sottovalutare, complice anche un andamento ancora positivo dell’occupazione. Dunque, potrebbe anche esserci un’accelerazione dei consumi attorno alle festività natalizie.
Come vede il dato sul Pil italiano nel terzo trimestre rispetto a quello degli altri principali Paesi europei?
Nel terzo trimestre l’economia tedesca ha fatto registrare una crescita congiunturale dello 0,2%, ma solo perché il trimestre precedente ha subito una revisione al ribasso da -0,1% a -0,3%. Difficile, quindi, che in Germania si possa invertire il trend che porta verso la crescita zero se non a un secondo anno consecutivo di recessione. Questo, ovviamente, contribuisce a frenare il nostro export. L’economia francese tra luglio e settembre è cresciuta invece dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti, ma, come spiega l’Insee, l’istituto nazionale statistico d’Oltralpe, principalmente grazie alle Olimpiadi.
L’economia spagnola nel terzo trimestre è invece cresciuta dell’1,8%. Come si spiega questo dato che va ben oltre la media di Ue (+0,3%) ed Eurozona (+0,4%)?
L’economia spagnola è più piccola della nostra, con un peso del settore turistico superiore. L’effetto di spinta di quest’ultimo, quindi, è piuttosto alto. Oltretutto il turismo spagnolo è più destagionalizzato che altrove. Sembra aver funzionato anche bene il sostegno dei redditi visto il buon andamento dei consumi. Bisogna però anche ricordare che se oggi la Spagna cresce di più, nel 2021 e nel 2022 era sostanzialmente ferma, mentre l’Italia galoppava.
(Lorenzo Torrisi)
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