Di fronte ai dati diffusi martedì su Pil e inflazione, sia a livello italiano che europeo, si potrebbe vedere il bicchiere mezzo pieno della tanto attesa frenata del rialzo dei prezzi o quello mezzo vuoto della conferma di una stagnazione del Vecchio continente che a molti sembrava inevitabile. Per Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, a destare più preoccupazione dovrebbe essere «la situazione della Germania. Non solo si tratta della prima industria europea, ma l’Italia è parte integrante delle sue catene del valore e dunque un altro dato negativo come quello giunto dall’economia tedesca, che probabilmente continua a risentire del rallentamento della Cina, è pesante anche per noi».
Come giudica, più nello specifico, il dato dell’Italia, con il Pil rimasto invariato tra il secondo e il terzo trimestre?
Visto che è relativo al terzo trimestre, che include le vacanze estive, si poteva sperare in qualcosa di meglio. Evidentemente il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito e questo ha avuto un impatto. Ora non possiamo aspettarci che vi siano misure particolarmente significative per spingere i consumi perché ci troviamo in una fase in cui siamo chiamati a rispettare delle promesse riguardanti il bilancio pubblico, in particolare per quel che concerne il disavanzo. Le prospettive economiche, in Italia come in Europa, non sono più quelle che avevano acceso qualche speranza dopo il rimbalzo post-Covid. Al momento c’è solo un importante Paese dove la crescita non si è fermata del tutto: la Spagna.
In Spagna, però, è da qualche mese che è tornata a salire l’inflazione…
Finché resta sotto il 4% e il Pil continua a crescere va bene. Se ci sarà una frenata dell’economia e i prezzi non scenderanno, allora potrebbe essere un problema.
Spagna a parte, in generale l’inflazione è scesa in Europa. Come mai?
Questa discesa è legata in particolare al calo dei prezzi energetici. Ora vedremo come evolverà la situazione in Medio Oriente e se ci saranno ripercussioni sul petrolio.
Come si esce da questa stagnazione che non riguarda solo l’Italia, ma la maggior parte dell’Europa?
Quello che sarebbe auspicabile è una ripresa dell’idea di un mercato interno europeo, perché sappiamo bene quanto sia incerta la situazione al di fuori del continente. L’area economica europea dovrebbe essere un mattone di riferimento solido per la domanda e la produzione, ma c’è il solito problema.
Quale?
In Europa, la politica monetaria è centralizzata, mentre quella fiscale no. C’è stato un importante segnale dirompente con il Next Generation Eu, ma solo alcuni Paesi hanno saputo trarne benefici. Oggi servirebbe un’azione diplomatica rivolta non solo verso le aree dove è in corso un conflitto, com’è giusto che sia, ma anche verso gli altri Paesi europei, perché solo se si fa una politica comune si può crescere tutti.
Quale dovrebbe essere l’obiettivo di questa politica comune?
La crescita economica, perseguita settore per settore. Bisogna aumentare i segnali deboli di integrazione esistenti. Dato che fuori dai confini europei c’è la grande esigenza di ritrovare condizioni di pace, quello che possiamo fare è cercare di essere veramente Europa. So che questo può far alzare il sopracciglio a molti, perché lo scetticismo sull’unità europea è sotto gli occhi di tutti, viste anche le richieste di Bruxelles eccessivamente esigenti. Questa è, però, la soluzione che aiuterebbe tutti i Paesi, non solo l’Italia.
In che modo andrebbe perseguita la crescita a livello europeo?
Le parole chiave in questo caso sono investimenti e produttività. Per quanto concerne gli investimenti sappiamo quanto siano importanti le infrastrutture, mentre per quanto riguarda la produttività è noto che un suo miglioramento contribuisce a frenare l’inflazione, perché consente una crescita dei redditi e un recupero del potere d’acquisto delle famiglie. Produzione, lavoro e redditi: questa è la catena su cui lavorare.
(Lorenzo Torrisi)
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