In attesa che il 5 marzo vengano resi noti i dati definitivi sul Pil italiano dell’ultimo trimestre del 2023 (dopo la stima iniziale pari al +0,2%), l’Ocse ha comunicato ieri che nell’insieme dei Paesi del G7 la crescita, negli ultimi tre mesi dello scorso anno, è stata pari al +0,4%, con dati positivi solamente per Stati Uniti (+0,8%), Canada (+0,3%) e Italia. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, i dati disaggregati che Istat diffonderà tra due settimane «riserveranno sorprese, soprattutto nel momento in cui diventerà più chiaro com’è stato possibile chiudere il 2023 facendo meglio di altri grandi Paesi europei».
Ha già qualche ipotesi in merito?
Sì, penso emergerà che i consumi delle famiglie non solo hanno tenuto ma sono anche aumentati. Del resto la loro crescita acquisita alla fine del terzo trimestre dell’anno era pari all’1,6% ed è difficile pensare che ci sia stato successivamente un tracollo. Questo incremento è collegato a un dato diffuso recentemente, ma cui nessuno ha dato il giusto rilievo.
Quale?
Il reddito reale pro capite delle famiglie italiane nel terzo trimestre del 2023 è aumentato dell’1,4%, mentre nell’intera area Ocse è sceso dello 0,2%, come anche nell’insieme dei Paesi del G7. Una crescita c’è stata anche nel Regno Unito (+0,2%), mentre Canada (-0,5%), Francia (-0,1%), Germania (-0,6%) e persino Stati Uniti (-0,3%) hanno registrato una contrazione
Oltre ai consumi delle famiglie, pensa che ci sarà qualche altro elemento positivo sorprendente nei dati sull’ultima parte del 2023?
Credo di sì, perché sembra che finalmente si stiano cominciando a mettere a terra gli investimenti del Pnrr, tanto è vero che l’Istat martedì ha fatto sapere che la produzione nelle costruzioni a dicembre è cresciuta del 4,4% rispetto a novembre e che il quarto trimestre si è chiuso con un +5,7% rispetto al terzo.
Non si tratta di rialzi legati all’ultima possibilità di utilizzare il Superbonus al 110%?
Questa accelerazione alla fine dello scorso anno dipende da qualcos’altro. Basta leggere le prime righe del comunicato con cui il 6 febbraio è stato diffuso l’indice HCOB PMI sul settore edile italiano relativo al mese di gennaio: “Il mese iniziale del 2024 ha mostrato il quarto aumento su base mensile dell’attività edile, che è stato supportato dall’ennesimo aumento dei nuovi ordini, a sua volta spesso collegato ai nuovi contratti associati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”. Speriamo che questo trend trovi conferme nei prossimi mesi. Oltre alla tenuta dei consumi, favorita dal fatto che siamo l’unico Paese del G7 con un’inflazione tendenziale sotto l’1%, renderebbe possibile una revisione al rialzo di alcune stime sulla nostra economia per quest’anno.
La settimana scorsa sono state diffuse quelle della Commissione europea, con una revisione al ribasso, ma anche con una certa fiducia sul fatto che nella seconda parte dell’anno le cose andranno meglio. Cosa pensa di queste previsioni?
Di fatto si allineano a quelle già formulate da Fmi e Ocse, che hanno rivisto al ribasso le prospettive per il 2024, anche perché molti Paesi sono entrati nel nuovo anno in recessione o in stagnazione. Forse la cosa più interessante legata a queste stime è stata sentire Gentiloni evidenziare, rispondendo a una domanda in conferenza stampa, che l’Italia è cresciuta e si prevede crescerà più di altri Paesi. Il fatto che si lasci intravvedere una seconda parte dell’anno un po’ più positiva mi sembra al momento più un desiderio che non una proiezione suffragata da fatti.
Perché?
Perché per Bruxelles tutto dipenderebbe dalla ripresa della Germania, che a me sembra molto difficile. Anche le dichiarazioni del Cancelliere Scholz sulla volontà di spingere sugli investimenti per la difesa al posto di quelli manifatturieri mi sembrano un tentativo, abbastanza interessante dal punto di vista tedesco, per riconvertire molte delle attività industriali, anche per via della crisi che il settore dell’auto potrà incontrare ancora nei prossimi anni. Che serva una difesa europea è un conto, ma mi pare sia soprattutto la Germania a desiderare che questo possa diventare uno strumento di politica industriale.
Dunque, non sarebbe una strada buona da seguire per l’Italia?
No, l’Italia ha un’industria composta da tantissimi settori non vasti, con un nocciolo duro di imprese medie e medio grandi. Il 75% del nostro export è generato da circa 9.200 imprese, che hanno tra i 50 e i 1.999 addetti. Diverso il discorso per i colossi tedeschi attivi in grandi settori, che necessitano di una riconversione, per la quale Berlino sfrutterà anche le risorse del bilancio pubblico, cosa che per altri Paesi è impossibile fare.
Possiamo, quindi, essere ottimisti sull’andamento dell’economia italiana? Si potrebbero adottare misure specifiche per rafforzarla?
La bilancia commerciale manifatturiera italiana nel 2023 ha fatto registrare un surplus di 116,9 miliardi di euro, ormai siamo il quinto Paese esportatore al mondo, un risultato possibile grazie a un decennio di cambiamenti strutturali che hanno aumentato la nostra competitività. Se i consumi continuano a tenere e il Pnrr procede a velocità anche normale, allora ci sono le basi perché la nostra economia possa tener duro nel 2024. Certo, non sarebbe male se si desse una continuità adeguata a Industria 4.0 e se si riuscisse a mettere al riparo i successi raggiunti dalle assurde politiche europee di transizione energetica che si stagliano minacciose all’orizzonte: grandi fette dell’industria europea rischiano di essere spiazzate.
Cosa pensa della proposta di emettere debito comune europeo finalizzato anche allo stanziamento di fondi destinati a riallineare costi e benefici della transizione green?
Gli Stati Uniti con l’Ira di fatto aiutano a gestire una transizione molto più blanda della nostra cercando di compensare le situazioni di crisi che fatalmente si creeranno tramite l’attrazione di investimenti stranieri. La realizzazione di un progetto analogo in Europa incontrerà sempre l’opposizione della Germania, che è l’unico Paese che può finanziarselo da sola, e il disinteresse della Francia, che è riuscita far inserire il nucleare nella tassonomia green. A questo punto all’Italia non restano molte opzioni.
Cosa intende dire?
O l’Italia conduce una battaglia epocale per ribaltare questa situazione a Bruxelles oppure deve adottare il nucleare di piccola taglia, soprattuto se il gas finirà con l’essere bandito, per evitare di diventare un Paese destinato alla deindustrializzazione.
(Lorenzo Torrisi)
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