Nei loro ultimi report diffusi nelle scorse settimane, il Fondo monetario internazionale e l’Ocse prevedono una crescita dell’economia globale che quest’anno e il prossimo si manterrà intorno al 3%, ma con un andamento piuttosto eterogeneo tra le diverse aree geografiche. Come evidenzia Vittorio Coda, professore emerito dell’Università Bocconi, si tratta ovviamente di previsioni da prendere con le pinze, “viste le grandi incognite presenti nello scenario globale. A ogni modo, quel che emerge in entrambi i casi è che il contributo principale alla crescita complessiva mondiale arriva dai Paesi emergenti e in via di sviluppo (+4,1% quest’anno e +4,2% il prossimo, secondo il Fmi), dato che gli Stati Uniti rallenteranno (dal +2,1% del 2024 al +1,7% del 2025, sempre secondo il Fmi) e l’Eurozona non crescerà abbastanza (arriverà a +1,7% l’anno prossimo dopo il +0,9% di quest’anno)”.
In questo quadro complessivo, come si posiziona il nostro Paese?
L’Italia, all’interno della zona euro, questa volta non è il fanalino di coda, ma è ancora in zona “zero virgola” quest’anno, dato che, secondo queste previsioni, crescerà dello 0,7% nel 2024 e poco sopra, dell’1,1% per il Fmi e dell’1,2% per l’Ocse, nel 2025. Ma il punto è che il Pil dell’Italia, a differenza di quello degli altri Paesi europei con cui ci confrontiamo, è stagnante da due decenni. Bisogna, dunque, concentrarsi su quelle priorità che possono dare impulso all’aumento della produttività nel nostro Paese.
Cosa si può fare da questo punto di vista?
Occorre intervenire sulla spesa tagliando quella improduttiva e sulle entrate con un’azione di serio contrasto all’evasione fiscale, visto che le tecnologie digitali consentono di ridurla drasticamente, come dimostrato dai Paesi che vi hanno fatto ricorso. In questo modo si potrebbero reperire ingenti risorse per provvedimenti importanti, a partire dagli investimenti, che sono fondamentali, come sottolineano sia il Fmi che l’Ocse, in settori come l’istruzione, la formazione e la sanità. Questo consentirebbe di dare impulso alla crescita della produttività, oltre che di ridurre il carico fiscale sul lavoro e sull’energia, uscendo dalla stagnazione di lunga durata evidenziata dall’andamento del nostro Pil.
Anche gli investimenti nella sanità sono così importanti?
Certo che sì, perché negli ospedali mancano i medici e il personale infermieristico e quelli che ci sono lavorano in condizioni proibitive, di grande stress. Occorre poi investire pesantemente sulle strutture sanitarie di territorio come ci si era ripromessi di fare dopo subito dopo l’epidemia del Covid. Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che la sanità è attraversata da straordinari progressi tecnologici e innovazioni, che generano ulteriori fabbisogni di investimenti in capitale umano e in tecnologie. Infine, non bisogna dimenticare che tanti giovani formati nelle nostre università scelgono di andare all’estero in strutture dove sono maggiormente retribuiti.
Della mancanza di personale soffrono oggi molte imprese del nostro Paese…
Sì, abbiamo una manifattura fantastica, fatta di imprese medie e medio grandi che pure soffrono della scarsità di personale, ingegneri, tecnici, operai. Sono imprese di successo per le quali il fattore umano è diventato il fattore limitazionale del loro sviluppo. Anche le artigiane risentono della mancanza di personale. Lo scorso anno sono state costrette a limitare la loro produzione per mancanza di operai.
Sulla mancanza di personale influisce anche la demografia: vi sono sempre meno giovani e meno persone in età da lavoro.
Sì, ma non si può pensare di fare fronte al problema della mancanza di forza lavoro nell’oggi e nei prossimi due/tre decenni con interventi volti a incentivare la natalità. Ciò che serve, per alleviare la scarsità di personale, è imparare a gestire bene consistenti flussi di immigrati da integrare sollecitamente nel tessuto economico sociale del Paese con il contributo determinante del Terzo settore e delle imprese che necessitano di lavoratori. Inoltre, con politiche adeguate si potrebbe favorire il lavoro femminile (l’Italia ha una bassa percentuale di donne che lavorano); aiutare tanti giovani a inserirsi nel mondo del lavoro (l’Italia ha la più alta percentuale di giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti neet); valorizzare maggiormente i giovani che hanno opportunità di lavoro all’estero.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI