Nel dicembre 2022 chi scrive propose uno scenario di crescita per il Pil italiano tra lo 0,8% e l’1,5% dando più probabilità al secondo numero mentre il più degli scenari istituzionali del tempo temeva una recessione. Oggi gli istituzionali hanno rivisto al rialzo le previsioni precedenti, ma il gruppo di ricerca dello scrivente, invece, sta rivedendo al ribasso le proiezioni in base a una condizionalità inserita in quelle di fine 2022: se i tassi monetari fossero troppo restrittivi – o troppo elevati o tenuti alti per troppo tempo -, allora il massimo di crescita andrebbe attorno allo 0,8%, con probabilità significativa di peggioramento ed entrata decelerata (della crescita) nel 2024, anno forse segnato da stagflazione, per lo meno nel primo semestre.



Un’altra condizionalità riguardava l’andamento delle economie clienti dell’export italiano: nel dicembre 2022 non era chiaro se l’Eurozona sarebbe andata in recessione. Nel giugno 2023 vi è andata, così come l’America segnala un rallentamento economico rapido, con impatto negativo sull’Italia manifatturiera. Pertanto la politica economica italiana dovrebbe prendere una postura di contrasto al rischio di recessione-stagflazione anche se i numeri del presente sono buoni (l’economia ha avuto un forte balzo nel 2022 che la ha fatta entrare in accelerazione nel 2023, forse distorcendo le analisi proiettive).



Potrebbe migliorare lo scenario sul piano di una politica monetaria meno restrittiva? Appare improbabile perché la Bce mostra la tendenza, spinta dalla componente tedesca, a tenere i tassi elevati – alzandoli ancora una o due volte nel 2023 – fino a che non vedrà una discesa dell’inflazione sotto il 2%. Questo atteggiamento ex post è un rischio di eccesso restrittivo. La politica monetaria ha conseguenze differite nell’economia reale (più rapide in quella finanziaria) particolarmente in Europa dove la trasmissione dell’azione monetaria trova una configurazione del mercato spugnosa, mentre in America la trasmissione stessa è più rapida per la forma più efficiente del mercato stesso. Tale considerazione porta a ritenere probabile che l’effetto disinflazionistico dei tassi resterà eccessivo per un periodo troppo lungo che potrebbe portare, appunto, a un andamento recessivo o stagnante a fine 20223 e buona parte del 2024 nell’Eurozona, con rischio di andamento peggiore per l’Italia.



Il rischio recessivo sarebbe mitigabile? Sul piano della politica monetaria aiuterebbe una decisione ex ante, cioè decidere una stretta minore in base alle tendenze economiche reali senza aspettare una certificazione del raggiungimento del target inflazionistico. Ma è difficile che la Bce agisca con questo metodo.

Potrebbe allora il denaro del Pnrr compensare il momento basso dell’economia sottoposta a cura disinflazionistica? Le analisi istituzionali e di alcuni think tank privati fanno pesare parecchio il contributo del Pnrr sull’andamento del Pil italiano – tra lo 0,4% e lo 0,5% – e se ciò fosse vero tali denari potrebbero funzionare come ammortizzatori della curva discendente. Ma è vero? Ci sono dubbi tecnici. Gli effetti del Pnrr tendono a essere differiti nel tempo. Inoltre, l’allocazione in buona parte non mirata fa intravedere una dispersione più che un incremento di progetti produttivi. Da un lato, non si può dire che il denaro del Pnrr non avrà effetti stimolativi della crescita. Dall’altro, tali effetti sono incerti sul piano dei tempi e della quantità, forse effetto di un eccesso di analisi retorica/ideologica in materia.

Quindi? La speranza è nel turismo, nella ripresa del mercato statunitense per l’export manifatturiero e almeno nella tenuta di quello europeo, in una politica fiscale realistica da parte del Governo: ma soprattutto nella capacità degli attori economici italiani di adattarsi flessibilmente alle condizioni di mercato. Sul tema chi scrive ha ottimismo, ma molto più condizionato di quello che è circolato in questi giorni.

www.carlopelanda.com

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