Sarà per il clima olimpico, ma ogni volta che si chiede come va l’economia italiana ci si sente rispondere che va meglio della Germania (così ha titolato Il Sole 24 Ore) e anche “degli altri grandi Paesi europei” (così ha detto Giorgia Meloni in una intervista a Chi). L’Italia va, lo abbiamo scritto anche la settimana scorsa e, in un clima arroventato non solo dal sole, ma soprattutto dalla guerra, è già una cosa importante.
Tuttavia, se vogliamo entrare nel merito, allora dobbiamo ammettere che siamo ingabbiati in una congiuntura da zero virgola e questo non è sufficiente. Non basta per tenere sotto controllo il debito pubblico, non basta per avere abbastanza fieno in cascina di fronte al rischio che arrivino tempi peggiori, non basta per una politica di bilancio che sostenga la crescita almeno finché non ci sarà un vero allentamento della politica monetaria da parte della Bce. È una virata sempre promessa e non ancora attuata, con il rischio che nel frattempo la discesa dell’inflazione si fermi e la riduzione dei tassi d’interesse attesa per settembre venga rinviata. Ci sono segnali di tensione sui prezzi dell’energia che certo non promettono nulla di buono.
Di tutto questo ha discusso la Confindustria con il Governo, in particolare sugli incentivi di Transizione 5.0, sulla politica industriale e sulla manovra economica che verrà annunciata il mese prossimo. Il presidente Emanuele Orsini ha sottolineato che la parola chiave è competitività. L’industria italiana ha utilizzato in modo massiccio gli incentivi se si guardano gli investimenti in macchinari, ma non sempre li ha usati al meglio per aumentare la produttività; ciò richiede infatti una combinazione di fattori interni ed esterni alle imprese che coinvolga tutti gli attori economici, dai sindacati alle istituzioni pubbliche, alla politica del Governo.
Siccome oggi finiscono le Olimpiadi di Parigi, possiamo gettare uno sguardo non più “sportivo-militaresco” a come vanno le cose nel motore che ha tirato la crescita in questi anni: a parte l’edilizia, con la bolla gonfiata dal Superbonus 110%, c’è l’industria manifatturiera e in particolare quella che esporta. E da qui arrivano segnali nient’affatto positivi.
Cominciamo dall’export. Gli ultimi dati dell’Istat si riferiscono a giugno e mostrano che su base annua sono scese del 6,1% in termini monetari e addirittura dell’8,6% in quantità. La flessione riguarda la Germania (-8,7%) che continua a navigare su crescita zero, ma anche gli Stati Uniti (-5,4%) il cui Pil cresce del 2,5%, e la Francia (-8,1%) che pure nel secondo trimestre dell’anno è in piena ripresa con un aumento del Pil che ha superato l’un per cento (+1,1%). A proposito di confronti, nello stesso trimestre l’Italia è cresciuta dello 0,9% e la Spagna continua a correre più di tutti (+2,9%).
In conseguenza di questa frenata delle esportazioni, la manifattura italiana stenta. L’ultimo bollettino della Banca d’Italia, quello di giugno, scrive che “nel secondo trimestre più della metà dei comparti dell’attività manifatturiera risultano in contrazione, in misura più accentuata nelle industrie tessili, in quelle della fabbricazione di mezzi di trasporto e in quelle metallurgiche. Cresce invece la produzione delle industrie alimentari”. Il clima di fiducia resta segnato dall’incertezza. Gli investimenti si sono ridotti anche per l’attesa che venga varato il piano Transizione 5.0.
Bankitalia stima una crescita complessiva del Pil pari allo 0,6% quest’anno e dello 0,9% l’anno prossimo e precisa: “L’attività sarebbe sostenuta dai consumi e dalle esportazioni, che beneficerebbero della ripresa del reddito disponibile e della domanda estera”. Le esportazioni finora sono deludenti, come abbiamo visto, speriamo che vadano meglio dall’autunno in poi. Quanto ai consumi sono stagnanti, siamo anche qui nella dimensione dello “zero virgola”. Se guardiamo all’andamento delle principali componenti, fatto 100 il livello del 2019, prima della pandemia, vediamo che i consumi sono leggermente sotto, le esportazioni sono arrivate a quota 110, gli investimenti a 115 e il vero boom è dovuto alle costruzioni (da 100 a 150) per effetto del Superbonus (ma questo interruttore ormai è stato spento).
L’appello della Confindustria a non sprecare l’occasione dei nuovi incentivi e a puntare sulla competitività non va lasciato cadere. Rievoca esperienze di concertazione tra le parti sociali e il Governo per le quali oggi mancano le condizioni politiche: non ci starebbe il principale sindacato, la Cgil, ma non è nemmeno nelle corde di questo Governo. Tuttavia, se guardiamo ai prossimi mesi senza più occhiali “olimpici” dobbiamo ammettere che potrebbe diventare necessario chiamare attorno a un tavolo i rappresentanti del mondo del lavoro e della produzione per affrontare in un clima meno conflittuale le prossime emergenze.
Un appello agli uomini di buona volontà? Un richiamo ai fatti e alla ragione.
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