Un piccolo segnale positivo per l’economia il mese di luglio l’ha portato con un aumento, dopo due flessioni consecutive, dell’indice di fiducia delle imprese. Tuttavia, quella dei consumatori è scesa, come manifestato da un peggioramento delle opinioni sulla situazione economica generale. Il secondo trimestre, in effetti, secondo la stima dell’Istat, si è chiuso con un Pil in calo dello 0,3% in termini congiunturali. E non si è trattato totalmente di una sorpresa, perché «qualche segnale di rallentamento nei mesi scorsi c’era effettivamente stato», ci spiega Vittorio Coda, Professore emerito dell’Università Bocconi.
A cosa è stato dovuto questo rallentamento?
È ancora presto per avere un quadro completo, ma sicuramente hanno pesato anche fattori legati sia alla flessione del ciclo internazionale dell’industria, sia agli effetti della stretta creditizia, soprattutto per la velocità con cui la Bce ha proceduto ai rialzi. Dato che questi effetti arrivano con un certo ritardo rispetto al momento in cui i tassi vengono aumentati, credo che si faranno sentire anche in futuro. Inoltre, ci sono aziende in tutti i settori che hanno incontrato e incontrano difficoltà a trovare lavoratori con le giuste competenze. Infine, non bisogna dimenticare l’impatto dei rialzi dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie.
Dato che gli effetti sull’economia reale arrivano con un certo ritardo rispetto al rialzo dei tassi, questo significa che nei prossimi mesi ci potrebbero essere criticità anche se la Bce lasciasse invariati i tassi?
Sì, è così. Non sappiamo poi cosa accadrà a settembre, la Presidente Lagarde e i membri del Consiglio direttivo della Bce non si sono esposti in merito, lasciando gli operatori in un’incertezza che certamente non aiuta l’economia. Tutto comunque lascia presagire che all’Eurotower continuerà a prevalere l’orientamento rigorista.
Dopo il dato negativo relativo al Pil del secondo trimestre, l’Italia riuscirà a evitare la recessione tecnica?
Penso che sia possibile, ma è difficile dire come. Per contrastare la recessione occorrono fiducia, unità di intenti e una forte spinta a lavorare bene per il futuro immediato e di medio lungo termine. Servirebbero segnali molto forti, come un importante intervento sul cuneo fiscale gravante sul costo del lavoro e sul costo dell’energia. Sarebbe poi cruciale riuscire a spendere, e bene, le risorse del Pnrr. Se n’è parlato tanto negli ultimi mesi, ma ora è il momento di passare a fatti concreti che dimostrino la volontà e la capacità di spendere bene questi fondi. Al momento la cosa evidente è il ritardo accumulato che dimostra la perdurante incapacità di raggiungere i traguardi che la politica si dà.
A proposito di fiducia, quanto può ostacolarla un autunno all’insegna di manifestazioni e mobilitazioni di una parte del sindacato?
Mi sembra ci sia una certa difficoltà ad avere un dialogo vero e costruttivo tra Governo e parti sociali, come se mancasse la comune volontà di remare insieme nella giusta direzione. Il sindacato cerca di farsi interprete di quelli che possono essere i desiderata e le aspettative della sua base associativa. È vero che l’Italia ha accumulato un notevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei nella crescita dei salari e che l’inflazione sta mettendo in difficoltà strati sempre più ampi della popolazione, per cui di questi fatti bisogna tenere conto, ma a mio avviso i sindacati dovrebbero enfatizzare maggiormente la necessità di riuscire a investire bene i soldi che ci arrivano dall’Europa. Si tratta di un fattore cruciale capace di fornire un contributo importante alla crescita del Pil.
Per aumentare i salari si potrebbe intervenire, come diceva prima, sul cuneo fiscale?
Sì, ma in modo più deciso rispetto all’intervento già varato, che è stato certamente positivo, ma di portata modesta.
Per un intervento robusto sembrano mancare le risorse…
Le risorse mancano anche per via dei tanti sprechi: non si vogliono tagliare voci di spesa improduttiva o scarsamente produttiva. Se lo si facesse si alimenterebbe un clima di fiducia positivo perché si trasmetterebbe il segnale di un intervento nella giusta direzione. Come pure lo sarebbe un’efficace azione di contrasto all’evasione fiscale: si stima il recupero di grandi cifre, ma poi non si si dà impulso alla digitalizzazione di tutte le attività economiche che contribuirebbe a combattere il fenomeno alla radice. Su questo la volontà politica non è emersa finora. E, a mio avviso, il sindacato, per fare realmente fare gli interessi dei lavoratori, dovrebbe battersi anche su questo fronte.
(Lorenzo Torrisi)
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