Secondo la stima preliminare dell’Istat diffusa ieri, nel terzo trimestre dell’anno il Pil italiano è rimasto stazionario rispetto al trimestre precedente (chiuso al -0,4% congiunturale). Un dato che allontana l’ombra della recessione tecnica dal nostro Paese e che si situa esattamente a metà strada tra il -0,1% congiunturale fatto registrare dall’Eurozona e il +0,1% dell’Ue (stime preliminari di Eurostat, anch’esse relative al terzo trimestre 2023). Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, il dato sull’economia italiana era «abbastanza prevedibile alla luce degli indicatori che si erano accumulati negli ultimi mesi relativi all’andamento dell’industria, dei servizi e del turismo».



A livello di andamento dei settori cosa si può dire?

Quella di Istat è una stima preliminare, per cui non vi sono dati dettagliati. Tuttavia, l’unico settore che pare aver fornito un apporto congiunturale positivo è l’industria. Nel frattempo i servizi, che avevano contribuito maggiormente alla crescita del 2022, si sono fermati: l’inflazione avrà certamente pesato sulla dinamica dei consumi delle famiglie. In ogni caso, questa crescita zero è meglio di niente: almeno non siamo andati in territorio negativo come nel secondo trimestre.



Pensa che negli ultimi tre mesi dell’anno le cose andranno meglio?

Nel quarto trimestre potrebbe esserci una piccola sorprendente crescita, che non cambierebbe però le prospettive per l’economia. Al momento la crescita acquisita per quest’anno è dello 0,7%: meglio di niente, considerando anche che c’è chi sta peggio di noi, come la Germania.

A questo proposito, come vede il quadro dell’economia europea alla luce dei dati Eurostat?

Il terzo trimestre si chiuso con un +0,1% per la Francia e un -0,1% per la Germania. Tra i grandi Paesi cresce solo la Spagna (+0,3%), che però era ripartita più tardi nel post-Covid. Il contesto europeo è quindi di stagnazione e un peso importante l’ha avuto anche la politica dei tassi della Bce. La domanda europea era, infatti, già debole e con il rialzo dei tassi la si è praticamente fermata. Forse è quello che si voleva ottenere, però il risultato è parziale.



Cosa intende dire?

In Europa c’è un’inflazione da costi, che ha tempi di assorbimento più lunghi rispetto a quelli di un’inflazione da domanda. Non so quanto una politica di rialzo dei tassi possa essere veramente incisiva contro un’inflazione di questo tipo, ma di certo i motori dell’economia si sono spenti e non si riaccendono girando una chiave come avviene con un’automobile, perché nel frattempo l’atteggiamento di consumatori e imprese è cambiato.

In che modo è cambiato?

All’uscita dal Covid c’era un clima di forte fiducia di imprese e famiglie che ora è stata annichilita e non può tornare ai livelli di prima se lo scenario è quello di tassi di interesse che se tutto va bene resteranno stabili al 4,5%, ai massimi storici, e subiranno forse una riduzione nel 2024. Non è un messaggio che suscita particolare fiducia, che spinge a investire e consumare. L’Europa avrebbe potuto sfruttare meglio la ripresa post-Covid e invece si è lasciata un po’ irretire da politiche monetarie di vecchia scuola.

Dunque la situazione di stagnazione europea è figlia anche delle scelte della Bce?

La Bce ha una bella fetta di responsabilità nell’aver creato questa specie di cul-de-sac. Certo, una botta sulla fiducia di famiglie e imprese è arrivata anche dalla guerra in Ucraina e adesso c’è incertezza visto il conflitto Israele-Hamas. Francamente siamo nel momento peggiore per l’Europa dopo il Covid, anche perché la locomotiva europea, la Germania, è ferma.

Ma oltre a quelle della Bce, ci sono responsabilità della Commissione europea per non aver contrastato il rallentamento dell’economia?

Secondo me, la più grande responsabilità che ha la Commissione consiste nell’aver creato una grande confusione prospettica stabilendo obiettivi di transizione energetica che rischiano di mandare completamente in tilt il motore economico manifatturiero europeo. Come vediamo per il caso dell’automotive, si sta imponendo un percorso che rischia di esporci a future dipendenze da altri grandi attori mondiali per quanto riguarda le tecnologie e le batterie. In generale, una transizione con obiettivi così ambiziosi, con traguardi temporali così ravvicinati, non può essere gestita senza il sostegno di una fortissima dotazione di risorse comuni europee. È stato negativo il passaggio dal coraggio del Next Generation Eu all’azzardo di questi nuovi target che, in un momento come quello attuale, acuiscono le difficoltà dell’Europa.

Il Next Generation Eu è nato proprio per finanziare la doppia transizione ecologica e digitale. Bisognava renderlo strutturale?

Sì, nel momento in cui si è deciso di alzare la posta sulla transizione, imponendo obiettivi ravvicinati, quasi senza un minimo di consapevolezza sulle responsabilità ambientali a livello globale. L’Europa, infatti, impatta già meno di altri sull’ambiente, ma sembra voler fare di più, con il rischio poi di esportare posti di lavoro e importare la CO2 degli altri. Non si tratta di negare i cambiamenti climatici, ma l’Europa dovrebbe darsi obiettivi più razionali e indirizzare meglio alcune scelte, per esempio incentivando il nucleare di ultima generazione e non solo le rinnovabili. Invece, la morsa Bce-obiettivi ambientali rischia di far perdere all’Europa la leadership manifatturiera rispetto agli Stati Uniti.

Torniamo all’Italia. Cosa pensa della Legge di bilancio approvata dal Governo: riuscirà a dare un po’ più di spinta alla crescita?

È una manovra conservativa viste le poche risorse disponibili, e quindi positiva perché non aggrava più di tanto i conti pubblici. Rimane però la grande perplessità su come stiamo gestendo il Pnrr, perché non si capisce fino a che punto le tante risorse ricevute stiano producendo risultati. Era questa l’occasione per riuscire a far fare al ciclo degli investimenti un ulteriore balzo in avanti dopo quello positivo di Industria 4.0 e quello dell’edilizia che ha fatto sprecare purtroppo risorse pubbliche. Non possiamo sperare, infatti, che siano i consumi a far ripartire l’economia: l’unico vero propulsore per l’Italia in questo momento può essere un grande ciclo di investimenti, ma sul Pnrr non si capisce cosa stia succedendo.

(Lorenzo Torrisi)

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