Come comunicato dall’Istat alla fine della scorsa settimana, il primo trimestre italiano per il Pil italiano si è chiuso con un aumento congiunturale dello 0,3% e uno tendenziale dello 0,7%, in miglioramento rispetto al +0,6% della stima iniziale. La crescita acquisita per il 2024 è quindi pari al +0,6% rispetto al +0,5% stimato un mese fa. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, quest’ultimo «è sicuramente un buon segnale e c’è da augurarsi che coi prossimi tre trimestri alla fine dell’anno si possa raggiungere il +1% indicato dal Governo nel Def».
Rispetto alla stima iniziale di fine aprile, ora ci sono anche i dati disaggregati. Ce n’è qualcuno particolarmente significativo?
Non ci sono elementi di grandissima novità. È sicuramente un bene che i consumi siano tornati ad aumentare su base congiunturale (+0,2%) dopo il dato negativo (-0,8%) del quarto trimestre del 2023: potrebbe anche essere un segnale del fatto che il calo dell’inflazione sta dando respiro alle famiglie, segnale che pare confermato anche dall’indice di fiducia dei consumatori di maggio cresciuto a 96,4 da 95,2 di aprile. Oltretutto sta continuando a salire l’occupazione a tempo indeterminato. C’è, quindi, ancora una dinamica positiva dell’economia, cui forse il Pnrr potrà dare un ulteriore piccolo impulso.
A questo proposito, come stanno andando gli investimenti?
Gli investimenti fissi lordi sono aumentati dello 0,5% a livello congiunturale e sono andati particolarmente bene quelli in fabbricati non residenziali e altre opere (+2,2%). Tuttavia, non è ancora abbastanza perché da loro possa arrivare un contributo decisivo alla crescita. Va anche evidenziato che purtroppo sono diminuiti gli investimenti in impianti e macchinari (-1,5%), anche perché di fatto il Piano Transizione 5.0 non è ancora partito e questo pesa sulle scelte delle imprese.
Anche per questo l’indice di fiducia delle imprese a maggio è sceso a 95,8 da 95,1 di aprile?
Non prenderei questa variazione come un segnale preciso. Di certo le imprese sono prudenti sugli investimenti, stanno aspettando di capire come funzionerà concretamente Transizione 5.0. Nel frattempo, l’export extra-Ue cresce, mentre quello intra-Ue fatica, condizionato dalla situazione difficile del nord Europa e della Germania. Lo scenario per le imprese non è fosco e potrebbe migliorare nei prossimi mesi.
Grazie anche all’ormai imminente taglio dei tassi da parte della Bce?
Sicuramente. È chiaro che nel momento in cui dovessero contemporaneamente esservi tassi di interesse più bassi e maggior chiarezza su Transizione 5.0 gli investimenti privati potrebbero ripartire, collegandosi con quelli pubblici nell’ambito del Pnrr, permettendo all’economia italiana di fare meglio di quanto si prevedeva soltanto qualche mese fa. Trovo anche che siano state molto interessanti le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia di venerdì scorso.
Da che punto di vista?
Attraverso dati puntuali sono stati ben evidenziati i progressi compiuti dal nostro Paese dopo quello che è accaduto ormai quasi 15 anni fa, quando non solo non vi è stata crescita, ma siamo andati indietro per colpa della forte austerità che ha fatto crollare la domanda interna. La crescita bassa non è colpa solo delle caratteristiche del sistema, ma anche delle politiche che vengono su di esso applicate. Fortunatamente negli ultimi anni c’è stato un progresso, grazie anche agli investimenti in macchinari che ha fatto crescere la competitività. La produttività è migliorata, ma, come ha ricordato Panetta, occorrono ancora passi avanti su di essa, in particolare nei servizi privati.
Non teme che l’austerità possa tornare con le nuove regole del Patto di stabilità?
No, perché queste nuove regole hanno tempi abbastanza lunghi di attuazione. Inoltre, possono essere migliorate, anche grazie all’arrivo di una nuova Commissione. Il Patto di stabilità resta sempre collegato a due indicatori, deficit/Pil e debito/Pil, ma è importante anche la posizione finanziaria netta sull’estero, che, come ha ricordato Panetta, oggi è positiva per 155 miliardi di euro, pari al 7,4% del Pil, mentre nel terzo trimestre del 2011 era negativa per il 23,3%. Questo indicatore andrebbe fatto valere in Europa.
Perché?
Perché bisognerebbe ricordare alla Commissione europea che c’è questo importante ammontare di crediti. E se bisogna, com’è giusto, ridurre il debito/Pil, con questa posizione finanziaria netta positiva si potrebbe farlo in tempi ragionevoli, evitando quelle strozzature di austerità che possono far andare indietro la crescita. È vero che dobbiamo tornare in avanzo primario, ma un conto è portarlo all’1%, un altro è farlo salire al 3% l’anno come ha suggeritoil Fmi. Meglio seguire dei consigli velati che anche Panetta ha fatto emergere: il debito va ridotto, ma insieme al rigore serve anche crescita, quindi non bisogna esagerare sull’avanzo primario, mentre si può ridurre la spesa pubblica improduttiva e migliorare l’efficienza del sistema pubblico.
(Lorenzo Torrisi)
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