Più 0,2% nel secondo trimestre 2024, +0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, +0,6% acquisito finora nell’anno in corso. I numeri del PIL italiano non descrivono una grande crescita, ma reggono benissimo il confronto (e, anzi, sono migliori) con Paesi a torto più considerati come Francia e Germania. L’Italia, spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, ha molte frecce al suo arco ma non riesce a convincere le agenzie di rating che le sue condizioni, da certi punti di vista, sono migliori rispetto a quelle dei grandi Paesi europei: così paga interessi spropositati senza che ve ne sia motivo. Lo stesso vale per la BCE, che vede l’Italia come un punto debole, mentre Francia e anche Germania, in questo momento, sembrano essere più vulnerabili di noi.



I dati del PIL italiano sono positivi: che futuro immediato ci permettono di immaginare?

Sono numeri che ci portano a stabilizzare il sentiero di consolidamento della ripresa avvenuta negli anni precedenti. Non facciamo faville, ma tra i Paesi del G7 non le fa nessuno, tranne gli USA, che comunque registrano un aumento del debito pubblico stratosferico rispetto all’Italia. Il nostro Paese sta confermando i progressi competitivi e occupazionali concretizzati negli ultimi anni.



Qualcuno dice che l’occupazione non è di qualità. È così?

In nessun Paese al mondo c’è l’occupazione di qualità degli anni 90, prima della deindustrializzazione degli Stati Uniti. Penso a Walmart: la qualità del lavoro è inferiore rispetto agli operai specializzati della Ford. Anche noi abbiamo più commesse nei supermercati e meno operai specializzati nella manifattura, ma abbiamo raggiunto un livello di occupazione considerevole.

Ma questo 0,6% di PIL in più che abbiamo raggiunto finora che cosa ci autorizza a sperare?

Intanto, il tendenziale rispetto al secondo trimestre dell’anno scorso è dello 0,9%, mentre lo 0,6% è la crescita che si avrebbe se i prossimi due trimestri fossero a crescita zero. Penso che uno 0,1% o 0,2% di crescita nei prossimi trimestri si possa ottenere: alla fine ci avvicineremmo allo 0,9%, più di quanto ci hanno fatto intendere alcuni commentatori.



I risultati dell’Italia ci hanno fatto guadagnare una maggiore considerazione a livello europeo oppure i nostri sforzi non vengono sufficientemente valutati?

Secondo me, c’è una scarsa considerazione che deriva dai nostri demeriti: da noi c’è una battaglia politica sempre al calor bianco. L’opposizione tende a negare i progressi e la maggioranza non ha abbastanza forza per spiegarli in maniera che non sia propagandistica. In questo modo, l’Italia si rappresenta all’esterno come un Paese che non migliora mai.

Una questione di comunicazione?

Al giornalista straniero che fa il corrispondente da Roma o da Milano, guardando i giornali italiani, sembra che ci sia l’apocalisse, mentre quello che lavora a Parigi ha l’impressione che in Francia vivano benissimo: sui quotidiani non c’è questa lotta politica continua, eppure il debito pubblico francese è più alto di 250 miliardi rispetto al nostro, ma non lo scrive nessuno. Da noi, tutti i mesi si commenta quanto è aumentato il debito pubblico secondo il bollettino della Banca d’Italia: stiamo per sforare i 3mila miliardi di euro, ma la Francia li ha già sforati da due anni.

Insomma, non riusciamo a far pesare a Bruxelles i nostri risultati?

Sì. Eppure il PIL italiano è quello cresciuto di più dal quarto trimestre del 2019 al secondo del 2024. Il debito in rapporto al PIL è quello aumentato di meno tra i Paesi del G7. L’anno prossimo torneremo in avanzo primario, esattamente come lo siamo stati per 30 anni. Sono queste le notizie da portare a Bruxelles, accettando magari di rispettare il Patto di stabilità, ma aggiungendoci qualche premio per chi se lo merita: se un Paese è in avanzo primario, la BCE, per esempio, potrebbe comprare un po’ di titoli di Stato. Il problema è che veniamo rappresentati da gente che non è capace di chiamare Standard & Poor’s o Moody’s spiegando che Paese siamo.

Cosa dovremmo sottolineare per avere un trattamento migliore?

Abbiamo un rating molto più basso della Francia, che in questo momento ha fatto solo le Olimpiadi e da due mesi non ha un governo. In Germania ci sono i nazisti che vincono in Turingia e un governo che fa pietà, con la più grande recessione del dopoguerra. E allora perché l’Italia deve pagare tutto questo spread? Siamo costretti a sborsare 40 miliardi di interessi in più all’anno senza motivo, solo perché lo pensa il Financial Times o perché stupidamente lo crediamo noi stessi.

Perché le agenzie di rating arrivano a pensare così di noi, non sviluppano analisi obiettive?

Le spiego come sono gli analisti delle agenzie di rating: c’è un italiano a Roma, in un ufficetto, che risponde a un inglese a Londra o a un americano a New York, un italiano magari laureato in Italia ma che ha preso uno straccetto di dottorato in America e che ragiona esattamente come gli stranieri: ci considerano ancora un Paese di spaghetti e mandolino.

Invece sappiamo essere virtuosi?

Dai tempi di Dini fino alla pandemia il bilancio dell’Italia, senza gli interessi, è sempre stato in positivo. Toccherebbe alla Banca d’Italia, al Governo, anche ai giornali rappresentare la realtà per quello che è. È dai tempi di Draghi che ci sono solo notizie positive. Gli investimenti in macchinari e impianti in Italia sono aumentati del 18% in quattro anni; in Germania sono diminuiti del 3%, in Spagna del 6% e in Francia del 4%: siamo diventati il quarto esportatore del mondo, superando anche il Giappone.

Questa scarsa considerazione dell’Italia riguarda pure la BCE?

Assolutamente sì, è dominata da un direttorio dove i tedeschi la fanno da padrone e dove la maggiore preoccupazione della Lagarde è di avere l’Italia come punto debole della squadra, per non far vedere che il punto debole è il suo Paese d’origine, la Francia. La BCE, alla fine della fiera, errori clamorosi sui tassi non ne ha fatti. Certo, se cominciasse a capire che il vero problema dell’UE in questo momento non è l’inflazione, ma la recessione della Germania e di tutto il Nord Europa, farebbe un passo avanti. Noi, pur avendo l’inflazione più bassa in Europa, continuiamo a pagare i tassi più alti, sacrificandoci per i tedeschi.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI