Le prospettive per l’economia italiana nel 2024 ereditano dall’anno precedente una frenata del commercio internazionale e un aumento dei tassi di interesse senza precedenti nella storia dell’euro. Un prolungamento della restrizione monetaria e il ritorno di vigore delle regole europee di bilancio potrebbe delineare un quadro di politiche economiche restrittive. Una bassa crescita mette in discussione il profilo discendente del rapporto debito/Pil. Le imprese reagiscono tutelando il capitale umano e gli occupati salgono di quasi mezzo milione di unità in un anno, con una maggiore accentuazione nel Mezzogiorno.



Nel corso dell’autunno si sono dimezzate le previsioni di crescita per il 2024, passando dal +1,2% della Nota di aggiornamento al Def di fine settembre al +0,6% di Banca d’Italia di metà dicembre.

Il 2023 si è delineato come un annus horribilis per il commercio internazionale: nei primi dieci mesi del 2023 il volume degli scambi internazionali è sceso del 2,2% su base annua, un ampio segno negativo che da inizio secolo si è registrato solo nel 2020 con la pandemia e nel 2009 con la crisi innescata dai mutui subprime. Faticano le vendite del made in Italy: le esportazioni in volume a ottobre ristagnano (-0,4%) e nei primi dieci mesi del 2023 scendono del 4,4%. La flessione arriva all’8,4% in Germania, il gigante europeo in recessione. Secondo le previsioni, la domanda estera dell’Italia dovrebbe ritornare a salire (+2,3%) nel 2024. La minore domanda estera si ripercuote sulla produzione manifatturiera, che nel trimestre agosto-ottobre cala dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti e nel complesso dei primi dieci mesi dell’anno scende del 2,1%.



L’attività nelle costruzioni sale del 2,0% nella media del trimestre agosto-ottobre 2023 nel confronto con il trimestre precedente, un dinamismo su cui potrebbe aver influito l’effetto temporaneo della corsa di fine anno per chiudere i cantieri del superbonus. Nella media dei primi dieci mesi del 2023 la produzione scende dell’1,5%.

Sul fronte dei consumi, nel terzo trimestre 2023 la spesa delle famiglie, a prezzi costanti, segna un incremento dello 0,7% sul trimestre precedente (dopo una variazione nulla nel secondo trimestre del 2023). A ottobre 2023 il volume delle vendite al dettaglio segna un aumento congiunturale dello 0,3% e nei primi dieci mesi dell’anno registra una flessione tendenziale del 3,9%.



A dicembre provengono segnali positivi dall’aumento della fiducia dei consumatori e delle imprese. L’aumento è più marcato per le imprese nei servizi di mercato, più contenuto nelle costruzioni e nel commercio al dettaglio, mentre cala l’indice di fiducia nella manifattura, su cui pesa il calo della domanda internazionale.

Il caro tassi frena gli investimenti in macchinari. A ottobre 2023 il costo del credito bancario per le imprese in Italia sale al 5,52%, in aumento di 391 punti base rispetto all’1,61% di giugno 2022, mese precedente all’avvio della stretta monetaria. Nonostante la frenata dell’aumento dei prezzi – nel 2024 il tasso inflazione nell’Eurozona si dimezzerà al 2,7% rispetto al 5,4% del 2023 – la Bce ritiene che i tassi di interesse si collochino su livelli che, “mantenuti per un periodo sufficientemente lungo“, forniranno un contributo sostanziale al conseguimento del target del 2% di inflazione. La stretta monetaria mette a rischio gli investimenti, vitali per le imprese sia per aumentare la produttività, che per gestire le transizioni green e digitale. Nel terzo trimestre del 2023 gli investimenti in macchinari e impianti sono scesi dell’1,9% su base annua, mentre un segnale in controtendenza arriva dalla forte risalita (+18,2%) di quelli in mezzi di trasporto, una tendenza che favorisce una mobilità di merci e persone più sostenibile.

A fine 2023 persistono elevati prezzi retail dell’energia. A novembre il prezzo al consumo di elettricità e gas, pur scendendo del 42,3% rispetto un anno prima, rimane del 55,8% superiore alla media del 2021. Le ultime previsioni di Banca d’Italia indicano per il 2024 un prezzo del gas di 47,4 euro/MWh, in risalita del 14,2% rispetto ai 41,5 euro/MWh del 2023, collocandosi su un livello più che doppio (+162%) rispetto alla media del triennio pre-pandemia (2017-2019).

Le imprese rimangono preoccupate della spinta delle materie prime e dei costi energetici – come evidenziato nella rilevazione pubblicata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Vicenza nei giorni scorsi e particolarmente significativa dato che la provincia vicentina è la terza in Italia, dopo Milano e Torino, per valore delle esportazioni -, mentre si mostrano resilienti sul fronte degli investimenti e dell’occupazione: gli imprenditori stanno reagendo ai segnali recessivi tutelando le risorse del capitale umano e fisico delle imprese.

Grazie a questo orientamento delle imprese, anche in una fase di congiuntura debole, va in controtendenza una marcata crescita dell’occupazione, che a ottobre 2023 consolida un prolungato ciclo espansivo, con 458 mila occupati in più (+2,0%) rispetto a un anno prima, una dinamica determinata dall’aumento di 455 mila dipendenti permanenti (+3,0%) e di 66 mila indipendenti (+1,3%) mentre scendono di 64 mila unità i dipendenti a termine (-2,1%). Crescono anche le ore lavorate, che nei primi tre trimestri del 2023 segnano un aumento del 2,2% su base annua. Rispetto a febbraio 2020, prima dello scoppio della pandemia, il mercato del lavoro ha 653 mila occupati in più, una crescita trainata dall’aumento di 848 mila dipendenti permanenti.

Un’analisi condotta con l’Ufficio Studi di Confartigianato Marche evidenzia che gli occupati nel Mezzogiorno (+2,8%) crescono a un ritmo di 1,2 punti superiore a quello del Centro Nord (+1,6%): un differenziale di crescita così alto non si trovava dall’inizio del 2016. Tra le maggiori regioni per numero di occupati, si osservano aumenti più marcati e superiori alla media nazionale in Sicilia (+3,9%), Puglia (+3,7%), Veneto (+3,0%) e Campania (+2,5%); il segno negativo è poco diffuso, presente solo in Friuli-Venezia Giulia (-1,1%) e, seppure lieve, nella Provincia Autonoma di Trento (-0,1%).

Sul 2024 grava l’ombra di un eccessivo prolungamento della stretta monetaria, sincronizzato con una politica fiscale che, con il ritorno di vigore delle regole europee di bilancio e in condizioni di bassa crescita, potrebbe tornare ad essere restrittiva. Nei prossimi mesi troverà attuazione l’accordo politico del 21 dicembre sulle nuove regole del Patto di stabilità e crescita. L’Italia detiene, con la Francia, il deficit più ampio tra le maggiori economie dell’Ue, pari al 4,4% del Pil nel 2024: per la seconda e la terza economia europee appare più probabile una apertura di procedura di infrazione per deficit eccessivo, anche se il ciclo elettorale europeo, con le elezioni del 6-9 giugno 2024, potrebbe stemperare le richieste della Commissione europea. Con il rallentamento della crescita dell’economia italiana, torna a salire il rapporto debito/Pil. In condizioni di bassa crescita, il rischio di un ritorno a una politica fiscale restrittiva è più probabile. Un aggiustamento per l’Italia potrebbe modificare il sentiero di discesa della pressione fiscale. L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) attenua gli eventuali effetti recessivi della politica di bilancio.

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