Cominciamo da un assunto targato Istat: ad aprile 2023 l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dell’1,9% rispetto a marzo. Nella media del periodo febbraio-aprile il livello della produzione è diminuito dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile segna diminuzioni congiunturali in tutti i comparti: beni intermedi (-2,6%), beni strumentali (-2,1%), beni di consumo (-0,4%) ed energia (-0,3%).
Seconda premessa: secondo la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, il turismo è in continua ripresa e vale per l’Italia oltre il 13% del Pil. Dato confermato dalla stessa Istat: Sandro Cruciani, direttore della Direzione centrale Istat per le statistiche ambientali e territoriali dell’Istat, in audizione presso la commissione Attività produttive della Camera, ha detto che nei primi mesi del 2023 la definitiva ripresa del settore (+45,5% le presenze complessive rispetto allo stesso periodo del 2022) è assodata, con una crescita rilevante sia delle presenze straniere (+70,5%), sia di quelle domestiche (+28,8%). Adesso, nonostante le incertezze meteo di giugno, per il turismo si prevede un’estate top (secondo una recente indagine di Assoturismo): nel trimestre estivo il sistema ricettivo italiano dovrebbe registrare 212,8 milioni di presenze, circa 12,5 milioni in più rispetto all’estate 2022 (+6,2%).
Secondo l’associazione di Confesercenti, a trainare la crescita saranno ancora i turisti stranieri (+9,6%): per il trimestre si prevedono oltre 101,2 milioni di presenze da oltreconfine, +9,6% rispetto allo scorso anno e un valore più alto (+0,9%) anche di quello registrato nell’estate 2019. Gli incrementi più significativi sono segnalati per i flussi tedeschi in tutte le aree e tipologie di offerta. Tra i mercati extraeuropei aumentano soprattutto i visitatori Usa, prevalentemente verso le città d’arte e le aree rurali. Ma anche il numero di turisti italiani continua a crescere, sebbene più lentamente: per l’estate si prevede un aumento del 3,3%, con oltre 111,6 milioni di presenze stimate (-1,2% rispetto al 2019). Dunque le quote per la prossima estate dovrebbe diventare 52,4% per la domanda italiana, e 47,6% quella estera (nel 2019 erano rispettivamente 52,9% e 47,1%).
La conclusione è evidente: il turismo tira, produzione industriale e manifattura frenano. Secondo Ref Ricerche (l’istituto nato nel 2000 dallo spinoff delle competenze economiche presenti in IRS, l’istituto per la ricerca sociale) si è fermato il commercio internazionale. Per l’Italia il contesto esterno è quindi meno positivo: lo scenario è peggiorato per i settori dell’industria più dipendenti dalla domanda internazionale e la ripresa resta affidata al traino del turismo e delle costruzioni.
Domanda estera e “interscambio” nel mondo del turismo (ossia l’incoming), invece, stanno rapidamente riprendendo e anzi sorpassando i livelli pur record del 2019, ultimo anno pre-pandemia, quando, sempre secondo l’Istat, le attività connesse al turismo nel 2019 valevano circa 93 miliardi di euro. Oggi si sale: analizzando solo il turismo balneare, il ranking valoriale (redatto da Sociometrica) vede al primo posto Rimini, con 1,4 miliardi di euro generati per valore aggiunto; a seguire Bibione (1,3 miliardi), Cavallino-Treporti (1,2), e poi Jesolo, Caorle, Palermo, Lignano Sabbiadoro, Sorrento, Riccione e Cervia.
E quindi? Stiamo arrivando al sorpasso-Pil tra manifattura e turismo? Difficile dire, e forse non sarebbe un risultato augurabile, nemmeno per il turismo, perché la salute di un settore implica indirettamente anche quella dell’altro (come ci ha recentemente dichiarato Carmela Colaiacovo, presidente di Confindustria Alberghi). In realtà, è vero che il turismo, con una gestione di tipo industriale, potrebbe essere uno dei volani più attivi dell’economia. A patto che sappia affrontare strutturalmente l’evoluzione delle tecnologie digitali e le imprescindibili esigenze della sostenibilità. Ovviamente, per la salute di entrambi i comparti, è sempre più necessario alleggerire il carico fiscale. E ancora, sia per manifatture che per turismo, bisogna almeno tentare di risolvere la questione produttività, che (secondo Confindustria) mette a rischio la competitività e penalizza la remunerazione del capitale nel settore manifatturiero, peggiorata dai continui rialzi dei tassi di interesse, che automaticamente frenano gli investimenti.
Intuitivo il senso di produttività per l’industria, meno e più complicato per il turismo, dove si deve far riferimento alle marginalità, non sempre o comunque non solo collegate alle presenze, ma sempre più alle policy tariffarie, agli equilibri di gestione, ai listini dinamici. Resta evidente che in generale un aumento di produttività sarebbe agevolato dall’alleggerimento del carico fiscale, che potrebbe far recuperare potere d’acquisto ai salari e sedare la compressione dei profitti. L’Italia, in ogni caso, è ancora la seconda manifattura d’Europa, nonostante la crisi finanziaria, la pandemia, la guerra e gli shock energetici. Ma potrebbe agevolmente diventare il primo player europeo per l’industria del turismo, viste le enormi disponibilità di giacimenti attrattivi di cui dispone, dall’arte alla cultura, dalle coste alle montagne, dall’enogastronomia allo sport. Perché, come ha detto il ministro Santanchè, il turismo è “un settore economico prioritario, trainante e non ancillare ad altri: rappresenta un volano per la crescita, traducendosi in fattore di sviluppo capace di amplificare l’impatto degli investimenti effettuati in termini di Pil, occupazione, reputazione del marchio Italia”.
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