Gli ultimi dati sullo stato di salute dell’economia europea hanno evidenziato una dinamica che non si vedeva da gennaio 2009. L’ultimo dato sul Pmi europeo manifatturiero ha mostrato il calo peggiore degli ultimi sei mesi ed è stato inferiore alle attese; al contrario il Pmi del settore dei servizi ha fatto registrare la seconda migliore performance degli ultimi dodici mesi e segnala ancora una notevole espansione. Non era mai successo, nella storia dell’indice, che il settore dei servizi avesse una performance così forte contemporaneamente a un declino della manifattura. La divergenza è ancora più pronunciata per quanto riguarda i nuovi ordini. Quelli del settore servizi sono saliti per il quinto mese successivo, mentre quelli del settore manifatturiero accelerano ulteriormente al ribasso. Questa stessa dinamica si ripete sui prezzi, in calo quelli del settore manifatturiero e in accelerazione al rialzo quelli dei servizi.



La somma delle due componenti consegna ancora uno scenario di espansione economica e questa è una buona notizia. Le notizie sono particolarmente buone per i Paesi europei più esposti al settore dei servizi e invece particolarmente negative per quelli più esposti alla manifattura. Questo divario apre un’inedita spaccatura, almeno nel breve periodo, tra il lato mediterraneo dell’Europa e quello del nord capitanato dalla Germania. Nel breve periodo potremmo assistere a un ribaltamento, rispetto a quanto successo nei cicli passati, in cui Germania e alleati crescono meno dei Paesi mediterranei. Pensiamo, per esempio, al boom che avrà, nei prossimi mesi, il settore del turismo in netta espansione, ancora, sul 2022.



Le dinamiche del settore dei servizi si portano dietro la crescita e si portano dietro anche i prezzi alimentando la crescita dei salari. Questo costringe la Bce ad alzare i tassi a ritmi sostenuti. Da un lato, i Paesi indebitati pagano dazio, però a differenza di altre fasi, pensiamo al 2011, hanno dalla loro la crescita e una pletora di risparmiatori nazionali potenzialmente interessati a buttarsi sul mercato delle obbligazioni statali per lucrare rendimenti impensabili anche solo quindici mesi fa.

Questa novità è una sfida per il modello economico, quello dell’austerity imposta con dosi da cavallo ai “mediterranei”, su cui l’Europa ha costruito gli ultimi due decenni: deflazione interna pagata tendenzialmente dai soliti noti per costruire un surplus commerciale senza senso e senza eguali nel mondo. La domanda estera invece viene meno, colpita, tra le altre cose, dalla ristrutturazione delle catene di fornitura globale e da un cambio di paradigma dei commerci e dei modelli economici dei protagonisti dell’economia mondiale tra cui, in primis, Stati Uniti e Cina. Comprimere i salari, soprattutto nel sud Europa, con un settore dei servizi così forte è complicato; la domanda di rendimento dei risparmiatori nazionali aiuta a gestire l’aumento dei tassi di interesse e in qualche modo tiene i soldi dentro il sistema. I rapporti di forza dentro l’Europa, chissà fino a quando, si invertono, e mettono in crisi un modello che durava almeno da due decenni e in cui la Germania stava benissimo. Quel modello le consentiva di costruire due “surplus gemelli”, quello del pubblico e quello delle partite correnti, che sarebbe stato impossibile e impensabile se la Germania non fosse stata dentro l’euro.



Mentre il vecchio mondo si sfascia all’esterno dell’Europa anche quello dentro l’Europa, specularmente, viene meno. Chi si era abituato bene, dentro l’euro, farà di tutto per riportare i rapporti di forza interni allo stato “originale”. Per l’Italia, per la cronaca, sarebbe un’occasione d’oro per fare due cose: ristrutturare la macchina pubblica e risolvere la crisi energetica.

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