Domani primo maggio, festa del lavoro, il Governo lavora. Un messaggio simbolico e molto chiaro. All’ordine del giorno del Consiglio dei ministri ci sono tre provvedimenti illustrati ai sindacati convocati per questa sera: un ulteriore taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 35 mila euro lordi l’anno; un nuovo Assegno di inclusione a partire dal primo gennaio prossimo; la revisione dei contratti a termine. Sono tappe ancora intermedie di una politica economica il cui obiettivo è stabilizzare la crescita.
I primi tre mesi dell’anno sono andati oltre le previsioni: +0,5% sul trimestre precedente e +1,8% rispetto a un anno prima. Ciò vuol dire che l’aumento del Pil già acquisito è 0,8%. L’Italia fa meglio della zona euro ed è superata solo da Spagna e Portogallo, ma è chiaro che non potrà contare per sempre sull’effetto trascinamento. Il Governo tira un sospiro di sollievo, non deve agire in affanno, tuttavia deve agire affinché non si accumulino le nubi che restano all’orizzonte, come ha ricordato la Banca d’Italia (la guerra, le tensioni sull’energia che potranno ripresentarsi in vista dell’autunno, l’inflazione che non scende in modo sufficiente, il costo del denaro che resterà elevato). Nel frattempo, altri nuvoloni sono in arrivo.
Il Patto di stabilità riformato introduce comunque un vincolo per un Paese altamente indebitato come l’Italia. Vedremo come andranno le trattative, la flessibilità è senza dubbio un aiuto, tuttavia bisogna ridurre il debito di 14-15 miliardi di euro l’anno se il traguardo sarà quadriennale o di 8 miliardi se si trascina per un sette anni. Ciò significa che non ci sono spazi nel bilancio pubblico per politiche basate su continui sostegni monetari, come si è fatto finora. Tamponare gli effetti del carovita con erogazioni ex post, in un continuo inseguimento dei prezzi al consumo, diventa dispendioso e alla fine inefficace. Dunque, se l’obiettivo di fondo è la lotta all’inflazione senza deprimere la crescita, bisognerà introdurre qualcosa di nuovo.
Venerdì al Cnel si è celebrato il trentesimo anniversario dell’accordo Ciampi tra Governo, sindacati, imprenditori, che fissava un tasso d’inflazione programmato come punto di riferimento per la dinamica dei redditi. Oggi non ci sono le condizioni politiche: la Cgil non ci sta, la Confindustria preferisce trattare con il Governo caso per caso, nell’Esecutivo prevale un approccio sfavorevole alla concertazione. Occorre escogitare altri mezzi perché l’inflazione resta ancora alta, soprattutto quella che colpisce il carrello della spesa. E non arriverà nessun aiuto dalla politica monetaria. C’è aria di un nuovo aumento dei tassi d’interesse, in ogni caso non si ridurranno per il resto dell’anno.
Non solo. Tira aria di stretta del credito un po’ perché il caro denaro spinge a rallentare o posticipare i programmi d’investimento, un po’ perché l’erosione dei redditi reali riduce i depositi e rischia di intaccare i risparmi. Il sistema bancario è solido, si dice, ma nessuno può escludere il rischio di un rimbalzo delle crisi americane. Gli alti tassi sono stati un sollievo nel breve termine per banche e assicurazioni, ma nel medio-lungo periodo diventano pericolosi. Banche deboli, non ancora risanate, o troppo piccole, sono a rischio non solo in Italia, ma in una Germania che resta a crescita zero. È una preoccupazione della quale non si parla apertamente, ma è diffusa sia a Francoforte, sia a Bruxelles e spiega in parte la pressione sull’Italia affinché approvi il Mes che serve da rete di protezione in caso di crisi bancaria.
Il decreto che entrerà domani in Consiglio dei ministri prevede di aggiungere un punto o un punto e mezzo percentuale alla riduzione dei contributi sociali ereditata dal Governo Draghi. Si arriverà così al 3% o 3,5% per i redditi tra i 25 e i 35 mila euro e del 4% o 4,5% per quelli inferiori a 25 mila annui. Non è granché, le buste paga aumenterebbero meno di 20 euro al mese, ma le risorse sono poche, come mostra il Documento di economia e finanza. Giancarlo Giorgetti in un’intervista al Sole 24 Ore ha difeso il suo approccio “prudente e calibrato” e ha ribadito che continuerà così: “Ci può permettere di arrivare a fine anno garantendo nuove coperture al sistema ed evitando contraccolpi bruschi sulla crescita”. Dunque, il portafoglio del Tesoro non si aprirà di qui a fine anno. Non è aumentando il deficit e il debito che si sostiene la crescita. Ma allora come?
Il problema delle coperture diventa centrale. Non ci sono margini per ridurre in modo significativo la pressione fiscale e in ogni caso bisogna mettere mano alla spesa pubblica. Giorgetti ha annunciato una spending review che riguarda anche gli investimenti finanziati con prestiti, ciò “vale per il Pnrr, ma soprattutto per il piano nazionale complementare alimentato da debito italiano con tassi più alti”.
Che le coperture siano il rompicapo principale lo si capisce anche leggendo la corposa riforma del Reddito di cittadinanza che sta già facendo fibrillare i grillini, con l’introduzione dell’assegno di inclusione per chi “non è occupabile” e il più stretto legame con la ricerca di lavoro. La bozza fin qui circolata è un malloppo di una cinquantina di pagine piene di locuzioni come “agli oneri derivanti dal presente articolo si provvederà mediante…”. I puntini di sospensione dovranno essere colmati da Giorgetti. Torniamo alla casella di partenza in questo gioco a somma zero.
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