Se il Governo stima per quest’anno una crescita del Pil dell’1% e dell’1,2% per il prossimo, ieri il Centro Studi di Confindustria ha fatto sapere di prevedere un +0,8% nel 2024 e un +0,9% nel 2025, mentre il Fondo monetario internazionale nel suo World Economic Outlook non va oltre il +0,7% e il +0,8%, rispettivamente. Domenico Lombardi, professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, evidenzia che «nella nuova batteria previsionale, il Fmi conferma le prospettive per un’economia mondiale in crescita, mantenendone sostanzialmente invariato il tasso di espansione al 3,2% per l’anno in corso e per il 2025. All’interno di questo dato aggregato, è possibile identificare tre diverse dinamiche».



Quali?

Fra i Paesi emergenti, si conferma il rallentamento cinese che scende sotto la soglia psicologica del 5% per l’anno in corso, mentre l’economia indiana conferma il suo dinamismo con un tasso di crescita del 7%; fra le economie avanzate, gli Stati Uniti crescono a un ritmo nettamente superiore ai loro pari e rispetto alle precedenti attese, pari a 2,8% e 2,2% rispettivamente per quest’anno e quello successivo; infine, per l’Eurozona vengono ridotte le previsioni di crescita a 0,8% e 1,2%. Oltre le previsioni numeriche, il Fmi registra due elementi favorevoli nell’attuale contesto dell’economia mondiale e altri due di criticità: fra i primi, la stabilizzazione del quadro inflativo e delle aspettative di inflazione, e il recente avvio della riduzione dei tassi da parte delle maggiori banche centrali; tra le seconde, la possibilità che i tassi d’intervento siano tenuti alti troppo a lungo dalle banche centrali comprimendo lo slancio dell’attività economica e la necessità di una stabilizzazione fiscale negli Stati Uniti e in Cina le cui traiettorie di finanza pubblica non appaiono sostenibili sulla base dei piani fiscali in vigore.



Viste le stime del Fmi, le prospettive per l’Eurozona e l’Italia non appaiono rosee…

Nell’Eurozona la crescita viene ridotta allo 0,8% e all’1,2% per quest’anno e il prossimo rispettivamente, riflettendo la persistente stagnazione dell’economia tedesca. Per quest’ultima, poi, viene prevista la crescita piatta per l’anno in corso e una espansione dello 0,8% nel 2025. Tuttavia, non è la prima volta che i previsori si attendono, nel breve, una ripresa dell’economia tedesca che sinora non si è materializzata, riflettendo appieno la natura strutturale delle sue difficoltà. Tali difficoltà rappresentano un pervasivo elemento di incertezza sulle prospettive dell’intera Eurozona, di cui la Germania costituisce l’economia più grande. Nel caso dell’Italia, il Fmi conferma le previsioni allo 0,7% e 0,8% per il 2024 e 2025 rispettivamente, che rimangono, nel complesso, invariate.



Il Centro Studi di Confindustria, oltre ad aver tagliato le stime sul Pil, ha ricordato i problemi del settore auto che incidono sull’economia. Cosa può fare il Governo per cercare di sostenere l’industria?

I problemi del settore auto, oggi, sono legati in larga parte alla transizione ecologica per come formulata in chiave europea e alle sfide che essa pone per la base manifatturiera italiana, nel contesto di un approccio che, sempre da parte europea, è stato superficiale e irresponsabile. L’aver accelerato sulla transizione ha avuto la conseguenza di creare ex lege un dislivello nel terreno di gioco a fronte di concorrenti extraeuropei che stanno acquisendo rapidamente quote di mercato, di fronte a istituzioni europee inerti che sotto il velo di un ambientalismo di maniera hanno accelerato la deindustrializzazione di un Paese un tempo leader proprio in questo settore. Per mitigare i danni, il Governo può accentuare la dialettica nei confronti delle istituzioni europee tenendo presente, tuttavia, che molte decisioni già prese hanno esercitato appieno i loro devastanti effetti e che occorre raggiungere una sintesi con altri Paesi rispetto ai quali gli interessi in questo ambito rimangono ancora divergenti.

Il Governo ha ricordato ieri i risultati conseguiti in due anni di attività. Tra l’altro venerdì scorso è arrivato un giudizio positivo da parte di Fitch. Possiamo essere tranquilli sul fronte dei conti pubblici?

Credo che l’analisi svolta da Fitch a supporto della propria decisione di cambiare l’outlook per l’Italia da stabile a positivo sia particolarmente efficace nel sintetizzare cos’è accaduto in questi due anni: in sostanza, stabilità politica e macro-fiscale che hanno generato le basi per la crescita che abbiamo osservato. Fitch aggiunge pure che, oggi, l’Italia si è guadagnata una credibilità sul piano fiscale, una valutazione che difficilmente è stata riconosciuta al nostro Paese. Del resto, le valutazioni di mercato lo indicano ormai da tempo: intendo sia lo spread tra Btp e Bund sia i Cds che sono attestati su valori storicamente contenuti. Guardando in avanti, le riforme devono rimanere prioritarie per l’agenda del Governo così come la piena attuazione del Pnrr. Soprattutto i risultati conseguiti sinora devono essere alimentati nel continuo da misure macro-fiscali improntate alla prudenza.

L’essersi impegnati nel Piano strutturale di bilancio a un rientro importante dei conti pubblici non rischia di “soffocare” un’economia che ha dato già segni di rallentamento?

Il Governo non ha avuto scelta visti i requisiti del riformato Patto di stabilità e crescita. Detto questo, l’enorme stock di debito pubblico pone in ogni caso un vincolo di mercato, dal momento che vanno rifinanziate enormi quantità di titoli di Stato a un costo il più possibile accessibile. Se si allentasse sul fronte fiscale, la credibilità macro-fiscale e i suoi tangibili risultati di cui si parlava prima svanirebbero nell’arco di nanosecondi. Piuttosto, preoccupa che altri Paesi europei, come la Germania per esempio, non utilizzino appieno lo spazio fiscale che hanno, prolungando la loro stagnazione, rallentando la crescita delle altre economie e indebolendo l’impatto controciclico della politica fiscale nell’Eurozona.

Quanto l’Italia potrà contare su Ue e Bce e quanto invece dovrà guardarsi dalle loro decisioni?

La stabilizzazione del quadro inflativo nell’Eurozona e la recente decisione della Fed di avviare la riduzione dei tassi con il primo taglio di mezzo punto percentuale consentono alla Bce di continuare ad allentare la postura di politica monetaria nei prossimi incontri del suo Consiglio direttivo, come confermato nel rapporto del Fmi. Il Tesoro ne ricaverà certamente un beneficio in termini di costo del rifinanziamento del debito, ma la postura macro-fiscale orientata alla prudenza deve rimanere.

(Lorenzo Torrisi)

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