Il nuovo anno è iniziato e, secondo l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, dal punto di vista economico, «estrapolando le attuali tendenze, il 2024 dovrebbe confermare le dinamiche che abbiamo osservato: gli Stati Uniti si confermano un’economia particolarmente dinamica e resiliente, la Cina auspicabilmente riesce a mitigare le vulnerabilità della sua economia senza implodere ma con prospettive di crescite ridimensionate rispetto allo storico; infine, l’Eurozona prosegue su una traiettoria di modesta crescita con una certa variabilità fra le economie che la compongono. Per l’Italia, le prospettive di crescita si vanno ridimensionando, ma molto dipende dall’evoluzione dei nostri partner commerciali. Tutto questo nell’ipotesi che non vi siano (ulteriori) crisi geopolitiche e le attuali aree di tensione non si espandano: per esempio, il conflitto tra Israele e Hamas non si allarghi all’Iran».
Come evolverà il confronto tra Stati Uniti e Cina?
Sono i due più importanti Paesi nel mondo legati da un groviglio di relazioni economiche e commerciali che è ormai impossibile disarticolare. Proseguirà il tentativo di circoscrivere le aree di conflitto e definire i micro-settori in cui non possono collaborare: per il resto, sono entrambi necessari all’equilibrio mondiale, non solo economico. La recente ripresa di un canale diretto di comunicazione tra i rispettivi vertici militari conferma questa reciproca consapevolezza. Occasionalmente, vi potranno essere delle deviazioni che, speriamo, non intacchino questo scenario favorevole.
Nel 2023 ci sono stati i timori di una crisi bancaria negli Usa e di una crisi immobiliare cinese: tutto passato o si tratta di problemi che “covano sotto la cenere” e potrebbero riemergere presto?
Le due crisi sono strutturalmente diverse: nel caso della turbolenza bancaria negli Stati Uniti, la veloce reazione delle Autorità ha evitato il contagio. Peraltro, la Silicon Valley Bank, da cui era partita la miccia, aveva investito in titoli di Stato americani – per definizione a rischio nullo – ed era finita in distress per un mismatch tra scadenze dell’attivo e del passivo. In Cina, la situazione è potenzialmente più preoccupante perché gli squilibri nel settore immobiliare – particolarmente rilevanti – hanno ramificazioni altrettanto rilevanti nell’economia, nelle finanze pubbliche e nella politica del Paese che sarebbero difficili da stabilizzare nel caso di una implosione dell’intero sistema.
Nel 2023 una protagonista delle vicende economiche occidentali è stata indubbiamente l’inflazione. Visto il suo calo, i mercati si aspettano per il 2024 che Fed e Bce taglino i tassi: potrebbero rimanere delusi?
L’inflazione si sta riducendo a un ritmo superiore alle attese. Gli ultimi dati negli Stati Uniti ci dicono che, in ragione d’anno, l’inflazione core è già in linea con, se non poco al di sotto del, target inflazionistico della Fed. Pertanto, a parità di tasso nominale, la politica monetaria si sta inasprendo. Il dibattito che ne consegue è se vi saranno tre o piuttosto sei tagli ai tassi nel nuovo anno e se l’avvio verrà dato nel primo trimestre o all’inizio del secondo. Anche nell’Eurozona stiamo assistendo a una crescente stabilizzazione del quadro inflattivo. Tuttavia, a differenza degli Stati Uniti, la situazione congiunturale si è significativamente deteriorata nei mesi passati e gli indicatori disponibili non sono ottimistici. Anche in questo caso, l’attesa è per una diminuzione dei tassi, a maggior ragione in considerazione dello stato dell’economia tedesca.
Il 2024 è anno elettorale in diverse parti del mondo, ma gli occhi sono certamente puntati sulle presidenziali Usa di novembre. Cosa ci dobbiamo aspettare dal punto di vista delle ricadute economiche di questa “attesa”?
Per l’Amministrazione americana è fondamentale mostrare leadership e contenere l’insorgenza di nuovi conflitti o l’allargamento di quelli esistenti. In questa prospettiva, per esempio, va vista la crescente presenza americana nel Mar Rosso per mitigare la tendenza al rialzo dei noli marittimi in seguito agli attacchi terroristici provenienti dal territorio yemenita. L’idea, questa volta, è di essere “preemptive”, disinnescando sul nascere eventuali escalation con l’idea di mitigare i conflitti in essere. In tal senso, si spiegano anche gli inviti pressanti a Israele di considerare le ripercussioni del suo legittimo diritto di difesa sulla popolazione civile di Gaza e all’Ucraina di Zelensky di riflettere su cosa possa costituire un accordo onorevole con la Russia in seguito all’aggressione ingiustamente subìta. È presumibile che queste pressioni aumentino nei prossimi mesi. L’effetto sarà di diminuire l’incertezza, oltre che stabilizzare le due importanti aree di conflitto.
Il 2024 sarà anche un anno di “transizione politica” per l’Europa. C’è il rischio che si ampli il divario di crescita economica tra le due sponde dell’Atlantico?
La divaricazione fra le due sponde dell’Atlantico è già una realtà. Negli Stati Uniti, la Fed ha raggiunto il tanto agognato soft landing, disinflazionando l’economia senza innescare la recessione. Nell’Eurozona la situazione è assai più critica, come sappiamo. Occorrerà evitare che nel 2024 questa divaricazione si consolidi ulteriormente. È difficile capire, tuttavia, con quali strumenti a maggior ragione che il Patto di Stabilità è rientrato in vigore, seppure riformato.
Il nuovo Patto di stabilità e crescita, insieme al graduale azzeramento del supporto della Bce tramite acquisto dei titoli di stato, ridurrà gli spazi fiscali per l’Italia, che ha dinanzi a sé un anno non facile considerando che le previsioni sul Pil del Governo sembrano ottimistiche, che ci saranno misure importanti da rifinanziare (come il taglio del cuneo fiscale e la riforma dell’Irpef) e che gli investimenti del Pnrr sono ancora da mettere a terra. Quale tra queste sarà la sfida più ardua per il Governo e cosa dovrà fare per non fallire?
Lo scenario per l’Italia rimane complesso: c’è un oggettivo elemento di complicazione che proviene dall’esterno ed è la congiuntura deteriorata a livello di Eurozona rispetto alla quale la nostra economia ha reagito bene nello scorso anno, ma non potrà farlo indefinitamente. Vi sono, poi, le difficoltà interne legate all’enorme mole di debito ereditata e agli effetti del Superbonus che restringono gli spazi di manovra, soprattutto in una fase internazionale critica come quella che stiamo attraversando da tempo. Nonostante il quadro complesso, o forse proprio in forza di questo, occorre proseguire con le riforme. Nell’anno passato sono stati fatti passi importanti tra i quali spicca la revisione del Pnrr la cui implementazione è culminata pochi giorni fa con la richiesta della quinta rata. Occorre proseguire con determinazione lungo questa strada mantenendo una postura fiscale prudente.
(Lorenzo Torrisi)
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