La scorsa settimana si è chiusa con la buona notizia della revisione al rialzo (+0,1% rispetto alla crescita zero) delle stime iniziali sul Pil italiano del terzo trimestre. Tuttavia, secondo l’Ocse, nel 2024 le cose andranno meno bene rispetto alle previsioni del Governo (+0,7% contro +1,2%) a causa soprattutto di consumi e investimenti privati che resteranno deboli. Per Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, le proiezioni attuali vanno prese con le pinze, «perché la variabili in gioco sono tante e la geopolitica condiziona pesantemente il quadro. In ogni caso, nell’Economic Outlook non c’è un altro grande Paese europeo che brilla in modo particolare rispetto a noi nel 2024. Non ci sarà, quindi, una battuta d’arresto dell’Italia: ci troviamo all’interno di un più generale rallentamento europeo. Nel frattempo nessuno sembra essersi accorto di un dato saliente».
Quale?
Prendendo per buone le previsioni dell’Ocse, e raffrontandole con il 2019 pre-pandemico, per quanto riguarda i quattro principali Paesi europei abbiamo una situazione per cui l’Italia alla fine del 2025 sarà cresciuta del 4,9%, facendo meglio di Regno Unito (+4,1%), Francia (+3,5%) e Germania (+2,5%). Nell’ambito del G7 andiamo anche meglio del Giappone (+2,7%). Non mi sembra, quindi, che si tratti di previsioni particolarmente negative.
L’Ocse parla però di consumi e investimenti privati che resteranno deboli…
Partiamo dagli investimenti privati. Non dobbiamo dimenticare che negli anni passati sono stati particolarmente elevati per effetto di Industria 4.0, quindi che siano più bassi è anche fisiologico. Le previsioni dell’Ocse, in ogni caso, non possono aver tenuto conto del fatto che con la revisione del Pnrr appena approvata dall’Ue sono state ricavate risorse per il piano Transizione 5.0, che serviranno a sostenere le imprese con incentivi agli investimenti in innovazione. Per quanto riguarda i consumi, forse non si è ben compreso cosa sta accadendo nel nostro Paese.
Cosa intende dire?
La crescita dei consumi delle famiglie italiane nei primi nove mesi dell’anno è stata dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2022. Un risultato dovuto in particolare ai consumi di beni durevoli e di servizi. Tra gli altri Paesi europei, c’è stata una variazione positiva in Francia (+0,6%) e nel Regno Unito (+0,5%). In Austria (-0,1%), come in Germania (-1,1%), Repubblica Ceca (-3,2%), Ungheria (-3,3%) e nei Paesi Baltici, c’è stata invece una diminuzione dei consumi. Questo conferma che la politica di sostegno ai ceti più deboli, da Draghi in poi, ha funzionato. E i dati mostrano anche quanto la politica della Bce sia stata assurda, perché combattere un’inflazione da costi con rialzi dei tassi non ha fatto altro che mettere in ginocchio il nord e l’est Europa che avevano già subito la batosta dello stop alle forniture di gas russo a prezzi competitivi.
La politica della Bce sembra però funzionare visto che l’inflazione scende.
L’inflazione cala perché sono scesi i prezzi energetici. Quando il tendenziale si riapprossimerà al 2%, ciò sarà dovuto alla fine del ciclo di smaltimento delle scorte di quei prodotti che sono stati realizzati quando i costi dell’energia e di altre materie prime erano ai massimi. Certamente la stretta sui tassi ha reso più cari i mutui e indebolito gli investimenti delle imprese che, come ricordato poc’anzi, erano già in calo nel nostro Paese, ma nel terzo trimestre i consumi hanno tenuto (+0,7%) e anche le esportazioni sono cresciute (+0,6%) rispetto al trimestre precedente.
Perché allora la crescita è stata solo dello 0,1%?
Per via della diminuzione delle scorte delle imprese (-1,3%), dovuta in particolare alla fine del superbonus 110% che ha reso meno conveniente accumulare nei magazzini materiali per l’edilizia. In ogni caso questo +0,1% ci pone al secondo posto, dietro solamente agli Usa, nella crescita congiunturale tra i Paesi del G7. Io vedo una situazione di resilienza assoluta dell’Italia, testimoniata anche da alcuni interessanti dati sull’export.
Ce li può illustrare?
Nei primi nove mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2022, le nostre esportazioni sono cresciute del 2,9%. Guardando agli altri Paesi del G20, solamente la Germania (+1,2%) registra un aumento, mentre gli altri sono in negativo, tra cui: Australia (-10%), Canada (-7%), Cina (-4,5%), India (-6,5%), Giappone (-5%), Corea del Sud (-11,5%), Russia (-29%), Turchia (-0,5%), Sudafrica (-12%), Regno Unito (-2,5%) e Usa (-2,5%). Addirittura, facendo il confronto con i primi nove mesi del 2015, anno base di tutte le nuove serie del Pil, tra i Paesi del G7 abbiamo il Canada a +37%, la Francia a +28%, la Germania a +28%, l’Italia a +48%, il Giappone a +13%, il Regno Unito a+10% e gli Usa a +33%.
In entrambi i casi il nostro export va meglio degli altri.
Sì, questo testimonia che quella parte della nostra economia che compete sui mercati mondiali è diventata una fuoriclasse assoluta. Se a ciò aggiungiamo la tenuta dei consumi, grazie anche al risparmio delle famiglie e ai sostegni ai ceti più deboli, e la linea prudente del Governo sui conti pubblici, dettata anche dalla consapevolezza del fatto che l’unico rischio che corre è una critica da parte dell’Ue, abbiamo degli elementi strutturali che trasmettono una certa fiducia per il futuro.
Anche per quel che riguarda i conti pubblici?
Usando l’approccio del Fiscal monitor del Fmi, che suddivide il periodo pre-Covid (2014-19) da quello post-Covid (2023-28), vediamo che il debito/Pil dell’Italia nel primo caso è sceso dell’1,2%, mentre nel secondo si prevede lo farà del 3,7%. Tra i Paesi del G20 solo pochi, tra cui Canada, Germania e Russia, registreranno una riduzione del debito/Pil tra il 2023 e il 2028. L’Italia in passato ha registrato degli avanzi primari e, secondo il Fmi, li farà registrare ancora, a differenza della Germania. Questo è un altro segno di solidità.
Qual è, invece, il suo auspicio riguardo alle decisioni che dovranno essere prese a breve a livello europeo?
La mia speranza è che qualunque soluzione verrà trovata sulla riforma del Patto di stabilità possa permettere di portare avanti la politica di investimenti che nell’arco dell’ultimo decennio ha permesso all’Europa di ripartire dopo la fase dell’austerità e di superare il Covid. Penso che dopo le elezioni di primavera l’Ue sarà fatalmente costretta a ridefinire i suoi target di medio lungo termine e a prevedere degli investimenti per le transizioni, finanziati con un debito europeo. Se vogliamo crescere e se vogliamo che i debiti su Pil scendano servono gli investimenti.
(Lorenzo Torrisi)
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