La delicata situazione in Medio Oriente preoccupa anche per le conseguenze che potrebbe avere su un’economia mondiale non particolarmente brillante. Secondo Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, è comunque difficile «che il conflitto mediorientale di per sé si possa estendere diventando poi una guerra mondiale. Russia e Cina non hanno preso al momento una posizione di chiaro sostegno all’Iran anche perché non desiderano essere coinvolti. Pechino, in particolare, ha bisogno di superare un momento di congiuntura difficile».
L’economia cinese continua però a crescere quasi del 5%…
È vero che in Cina il Pil cresce, ma non a un ritmo sufficiente per assorbire l’alto tasso di disoccupazione giovanile che resta vicino al 20%. Pechino ha messo ora in campo misure fortemente stimolatrici, staremo a vedere che effetto avranno. In ogni caso il gigante asiatico ha bisogno di pace e di continuare a esportare e non ha certo gradito i dazi Ue sulle proprie auto elettriche. Per tornare alla situazione in Medio Oriente, la Russia è già impegnata sul fronte ucraino e non ha convenienza ad aprirne altri. Dunque, anche senza un’estensione del conflitto il quadro economico resta difficilissimo e contraddistinto da una debolezza diffusa a livello globale.
Negli Stati Uniti gli ultimi dati sul mercato del lavoro sono stati migliori del previsto. Ci si è anche chiesti se la Fed non abbia esagerato nel tagliare i tassi di mezzo punto il mese scorso.
Il lavoro sta cambiando e questo rende anche più difficili le indagini statistiche. A mio avviso, i dati sull’occupazione a carattere mensile sono meno affidabili di quelli relativi a un orizzonte annuale. Non dimentichiamo che ad agosto è emerso che nell’anno terminato a marzo gli Stati Uniti hanno creato il 30% di posti di lavoro in meno rispetto a quelli previsti. Ed è anche questo dato che la Fed ha preso in considerazione decidendo di tagliare i tassi di mezzo punto. Se l’economia sta migliorando, tanto meglio per la Banca centrale americana. Intanto ci sarà da vedere come andranno le presidenziali del mese prossimo, sperando che non ci siano contestazioni sui risultati, che potrebbero portare a giorni o settimane di incertezza sul vincitore.
A proposito di statistiche, abbiamo visto che l’Istat ha dovuto rivedere nei giorni scorsi il dato sulla crescita acquisita del Pil nel primo semestre dell’anno, portandola a +0,4% da +0,6%. Cosa ne pensa?
È una situazione che conferma una certa difficoltà a rendere affidabili le stime in un’economia che sta cambiando non poco negli ultimi anni. Fortunatamente per il momento l’Italia galleggia come altri Paesi europei. La speranza è che, da un lato, la “fiacchite” non si estenda a tutti i settori dell’economia e che, dall’altro, il Pnrr possa dare qualche stimolo alla crescita.
Il problema è che piccole revisioni sulla crescita possono avere conseguenze importanti per le manovre di finanza pubblica.
Questo è un piccolo guaio che si aggiunge ad altri più o meno grandi guai che affligono il nostro Paese. Fa bene intanto il Governo a rassicurare i mercati sul rientro dei conti pubblici.
Prima ha citato i dazi Ue sulle auto elettriche cinesi. La scorsa settimana la votazione sul tema ha fatto emergere divisioni tra i Paesi membri, con la Germania che si espressa contro. Cosa ne pensa?
I principali centri di produzione automobilistica europei sono situati in Germania e Francia. I produttori tedeschi negli anni hanno fatto del mercato cinese uno dei loro pilastri e oggi stanno puntando sempre più sull’alto di gamma. La Germania attraversa già un difficoltà congiunturale e la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare in caso vi fosse una ritorsione di Pechino sulle auto premium. La Francia, invece, è indietro sulle auto elettriche e produce modelli orientati alle fasce medio-basse della popolazione, pertanto risentirebbe di più della concorrenza cinese in Europa. Per questo ha votato a favore dei dazi.
Di fatto, i tedeschi sono disposti a rinunciare ai segmenti medio-bassi pur di tenersi quelli alti.
Sì e in parte stanno abbandonando sempre di più la produzione di auto nei segmenti più bassi per dedicarsi a quelli premium.
Tra poco conosceremo le stime del Governo tedesco sull’economia. Si ipotizza che il Pil possa essere rivisto in negativo, con un -0,2% dopo il -0,3% con cui si è chiuso il 2023.
Diventerebbe, quindi, ancora più chiaro che la Germania si trova in recessione e questo dovrebbe rappresentare una spinta per la Bce a tagliare un po’ di più i tassi e, soprattutto, a riattivare, magari con qualche modifica, il programma di riacquisto di titoli di stato che cesserà a fine anno.
Mosse ostacolate dagli stessi tedeschi…
Paradossalmente sì. Il problema è che con il suo Governo-semaforo la Germania non ha finora concluso nulla in nessun campo. I tre partiti così diversi tra loro non riescono ad andare d’accordo sulle questioni più importanti e quindi restano immobili.
Dunque è fondamentale per il futuro europeo che si sblocchi la situazione politica tedesca?
Direi proprio di sì. Se non dovesse sbloccarsi, la possibilità di ripartire per l’Europa non dico che svanirebbe del tutto, ma sicuramente verrebbe di molto ridotta.
(Lorenzo Torrisi)
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