Non sono arrivate in questi giorni buone notizie per l’economia europea. La produzione industriale nell’area dell’euro, infatti, a giugno è scesa del 3,9% su base annua. E se l’Italia (-2,6%) ha fatto “meno peggio” della media, lo stesso non può dirsi per la Germania (-4,1%), la cui economia sembra ancora incapace di ripartire, visto che l’indice Zew, che misura le aspettative a sei mesi degli analisti, ad agosto è sceso a 19,2 da 41,8 di luglio, mancando di molto le attese (32,6). Quest’ultimo dato in particolare, confessa Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, “mi coglie di sorpresa, perché la Germania dovrebbe essere il Paese europeo più attrezzato dal punto di vista del potenziale di innovazione e competitività, ma così non è evidentemente. C’è, pertanto, da attendersi una situazione, se va bene, di forte rallentamento, di ristagno dell’economia”.



Che riguarderà solamente la Germania o anche l’Europa in generale?

La Germania è stata sempre considerata la spina dorsale dell’economia europea, quindi il suo rallentamento non può non riverberarsi sul resto del continente. Anche perché il potere d’acquisto delle famiglie non appare così brillante da poterlo compensare.



Cosa si può fare a livello nazionale ed europeo per ridare spinta all’industria?

È come se un ingranaggio si fosse inceppato. Questo ingranaggio è il circuito della produzione, del reddito e dei consumi delle famiglie, che pare avere improvvisamente bisogno di olio, ovvero un aumento della domanda. Tra l’altro non dobbiamo dimenticare che esiste una situazione di disuguaglianza tra le famiglie, per cui per alcune non manca spazio per i consumi, mentre altre è come si fossero ritrovate a non ricevere più la quattordicesima mensilità. Per questo, oltre a posti di lavori ben retribuiti, servirebbero margini fiscali per rimpinguare le busta paga.



Servirebbe anche una mossa della Bce?

Assolutamente sì. È quasi inspiegabile questa fase di attesa, di stasi della Bce di fronte a un rallentamento che rischia di essere pericoloso. Siamo in una situazione in cui una riduzione dei tassi e una maggiore disponibilità del credito potrebbero essere determinanti per consentire di introdurre un elemento esterno in grado di sbloccare il circuito produzione/reddito/spesa che al momento non sta funzionando.

Pensa che dal simposio di Jackson Hole della prossima settimana potrà arrivare un po’ più di chiarezza sulle prossime mosse della Bce?

Quello di Jackson Hole è un appuntamento importante, da sempre collegato alle decisioni relative alla stance di politica monetaria delle Banche centrali. Mi aspetto che le considerazioni appena fatte possano trovare riscontro nelle valutazioni degli economisti e dei policy maker, perché questo potrebbe aiutare molto. È chiaro però che parlare Jackson Hole significa principalmente parlare di Fed e Stati Uniti.

Cosa si aspetta in questo senso?

Il momento è particolare perché manca poco alle elezioni presidenziali. Se ci fosse un rallentamento dell’economia, sarebbe un brutto colpo per i Democratici. Mentre se si arrivasse al voto in una situazione economica favorevole ne tratterrebbe beneficio Kamala Harris. È chiaro che la Fed, le cui decisioni non sono indifferenti per la Bce, tagliando i tassi potrebbe avvantaggiare l’attuale vicepresidente, ma questo potrebbe avere riflessi positivi per l’Europa e anche per il resto del mondo.

(Lorenzo Torrisi)

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