Mettere a terra, come usano dire, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è sfida che in gran parte tocca alle Regioni affrontare e vincere. Perché non basta aver portato a casa 200 miliardi europei sulla fiducia. Occorre, primo, non rischiare di perderne qualcuno per ritardi o mosse temerarie; secondo, coinvolgere i soggetti interessati, cioè gli enti sul territorio e i corpi intermedi; terzo, andare a gara. E far sì che vada a buon fine non solo la realizzazione materiale delle nuove strutture, ma le loro destinazione effettiva al benessere delle famiglie e della comunità, il che accade grazie agli uomini impegnati. Che gli ospedali abbiamo medici e infermieri, per esempio, e che siano ben formati, motivati e… remunerati.
Il confronto al Meeting di Rimini fra sette presidenti di Regione ha offerto una fotografia sostanzialmente positiva dello stato di avanzamento, insieme alla consapevolezza chiara dei problemi. Un confronto, va riconosciuto, esemplare per concretezza, che porta anche a convergenze pur nella differenza di visioni politiche, senza cadere in rissose polemiche. Un buon esempio, che il professor Andrea Simoncini, costituzionalista, invitato dal moderatore Roberto Inciocchi, giornalista di SkyTg24, a introdurre e brevemente commentare il dibattito, non ha mancato di rimarcare. Merito un po’ del luogo, il Meeting, che è spazio volutamente agli antipodi della demonizzazione degli altri; ma merito anche dell’attenzione reale ai problemi e alla gente che è richiesta e fors’anche favorita da un serio esercizio del governo locale.
I presidenti di Regione intervenuti sono: Francesco Acquaroli, Marche (FdI); Stefano Bonaccini, Emilia-Romagna (Pd); Attilio Fontana, Lombardia (Lega); Maurizio Fugatti, Trento (Lega); Eugenio Giani, Toscana (Pd); Donatella Tesei, Umbria (Lega); Giovanni Toti, Liguria (Italia al Centro).
Prima comune preoccupazione: non facciamo scherzi, non rischiamo di mettere a rischio questo grasso che cola con manovre avventate o richieste drastiche e pericolose di eccessive modifiche. Bonaccini l’ha detto chiaro: “È un’opportunità irripetibile”. Evidente la differenza con certe uscite da bagarre elettorale. Bonaccini stesso, Fontana, Toti esplicitamente hanno rimarcato: qualunque sarà il prossimo governo. Correttezza istituzionale, certo, ma anche senso del bene comune.
Il nuovo governo, tuttavia, quale che sarà, non potrà ignorare un problema non di poco conto: il rincaro delle materie prime e dell’energia, esploso a seguito della guerra russo-ucraina, cioè dopo l’approvazione del Pnrr. Il problema è non solo rivedere i costi, ma fare in modo che le gare non vadano deserte, tanto per cominciare. Poi si tratta di raccordare bene l’uso delle risorse straordinarie e dei fondi europei ordinari, per quanto riguarda ogni Regione; e di armonizzare gli interventi locali con una visione di sviluppo che abbia carattere nazionale. In questo senso, come ha chiesto Fontana, ma anche i colleghi sono della stessa idea, il Governo dovrà ascoltare di più le Regioni.
Le quali assicurano che i rispettivi progetti di investimento, anche estremamente capillari (1.300 circa quelli della Toscana, per esempio) sono stati costruiti in dialogo con gli enti interessati e con le realtà sociali interessate (il rigassificatore di Ravenna, per dirne uno, ha avuto il sì di sindacati, industriali, enti locali, corpi intermedi).
Un terzo livello di questioni riguarda il fattore umano. Si capisce bene il problema considerando la sanità, che è la parte più sostanziosa degli investimenti del Pnrr. Tutti costruiranno ospedali di comunità e case della salute, o comunque le chiamino, strutture in funzione di una medicina territoriale, apparsa largamente insufficiente con il Covid. Non basta farle: bisognerà trovare medici e infermieri. Perciò occorrerà intervenire – in dialogo con le realtà rappresentative della categoria, da un lato, e con il governo nazionale, dall’altro – su come pensare le facoltà di medicina, come formare il personale, come migliorare il contratto di lavoro, come poter sviluppare una contrattazione di secondo livello, cioè decentrata, ecc.
Un’ora e mezzo di buon dialogo che ha dato della politica un’idea ben diversa da quella gridata e sloganistica, con caravanserraglio di talk show al seguito, di cui non se ne può più.
Esempi così, ha sottolineato in conclusione Simoncini, se arrivano alla gente, possono far balenare in testa l’idea che forse la politica non è una roba sporca o una gara muscolare a farsi fuori, e che forse ha ancora un senso andare a votare.
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