Sul fronte interno, il Pd ha chiesto di accelerare sulla verifica di governo, chiedendo al premier Conte di battere finalmente un colpo. In Europa, invece, la Ue ha avviato la discussione sulle regole di bilancio. Ma per Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, non c’è da illudersi. Sulla fase 2 del Conte 2, “nutro forti dubbi”, alla luce della “gravissima crisi” in cui versa il M5s, e pur continuando le schermaglie sulla riforma della prescrizione, “Pd, Cinquestelle e tanto meno Renzi non vogliono la crisi”. Sui nuovi meccanismi europei, invece, “non c’è da sperare in una maggiore benevolenza dei paesi del Nord Europa”. E il centrodestra? Visto che la legislatura rischia di protrarsi fino al 2022 e la spallata non c’è stata, la Lega potrebbe aver avviato un processo di trasformazione, con un doppio obiettivo utile a colmare due gap del partito di Salvini: accreditarsi presso l’establishment, italiano ed europeo, e creare una classe dirigente al Sud.



Il Pd chiede di accelerare sulla verifica. Orlando ha dichiarato: “Il paese ha bisogno di risposte forti”. Ma il governo, da troppo tempo bloccato, è attrezzato per rilanciare una fase 2 programmatica?

Nutro forti dubbi, perché l’altro soggetto di questo patto che dovrebbe essere all’origine della fase 2, il M5s, è un partito senza guida e senza una prospettiva, immerso in una gravissima crisi interna e in una gravissima crisi elettorale, con consensi in caduta libera.



In effetti il M5s è arroccato sulle battaglie di bandiera, ma sul resto sembra stordito e afono. Che cosa sta succedendo ai grillini?

Nella migliore delle ipotesi gli Stati generali dovrebbero restituire al M5s un’identità, un’anima, una linea politica, ma non si può escludere che questo non avvenga neppure agli Stati generali.

Perché?

E’ un movimento molto sui generis e la sua crisi mi sembra strutturale più che congiunturale. Non sa dove andare e non sa sfruttare la sua ancora enorme forza parlamentare. Ci troviamo nella situazione paradossale che il partito di maggioranza relativa in Parlamento si sta praticamente squagliando nel paese e centinaia di parlamentari rischiano di rimanere presto senza un partito di riferimento. Il che rende la situazione parlamentare e politica così incerta che mi sembra francamente difficile poter immaginare adesso una rinascita, una rifondazione del governo su questa base.



Oltre tutto, a parte il Pd di Zingaretti, chi nella maggioranza crede davvero in una fase 2 programmatica?

Il Pd più che crederci incalza, tenta di trarre vantaggio dalla debolezza dei Cinquestelle, rendendo più forte la sua presa programmatica sul governo, cioè indirizzando il governo verso i suoi progetti e soprattutto ottenendo un passo indietro dei Cinquestelle, o quanto meno un compromesso su tutti i dossier che li dividono, il primo dei quali è ovviamente la prescrizione e il secondo il nodo delle concessioni ad Autostrade.

Su questi due temi è in corso un braccio di ferro, non crede?

Il Pd si è convinto che l’alleanza con il M5s funziona perché gli consente di drenarne i consensi. Il Pd conta sul fatto che Conte alla fine si schieri dalla sua parte.

Riforma della prescrizione e nodo delle concessioni autostradali stanno diventando due crocevia delicatissimi. Il governo può inciampare e cadere?

Nessuno dei due partiti vuole la crisi, questo è fuor di dubbio, men che meno la vuole Renzi, che ha di fronte le prospettive elettorali più disagiate: se si dovesse andare al voto oggi, Italia Viva non avrebbe un risultato lusinghiero. Ma anche se nessuno vuole la crisi, non significa di per sé che non la si possa provocare. Persino la Prima guerra mondiale nessuno la voleva, eppure è scoppiata. Finché prevarrà la razionalità, prevarrà il compromesso. Poi, ovviamente il mondo, e la politica in particolare, non è fatto solo di razionalità…

Renzi intanto continua nella sua opera di logoramento, anche se non ha intenzione di far cadere il governo. Qual è, in filigrana, il suo disegno?

Il disegno di Renzi è innanzitutto vivere: il consenso di cui è accreditata Italia Viva, al momento, non è tale da farlo vivere sugli allori. Si dà da fare per farsi vedere, nella speranza di raccogliere consensi dall’esplosione di quel centro moderato che oggi è ancora raccolto attorno a Berlusconi e sparso un po’ tra Calenda e +Europa. Ecco perché sta conducendo sulla prescrizione una battaglia garantista, che agli elettori di centrodestra certo non dispiace.

Lei ha scritto sul Corriere che la Lega ha avviato una sorta di rivoluzione, cercando di accreditarsi presso ambienti dell’establishment italiano ed europeo. Che impatto potrebbe avere questa trasformazione sugli equilibri del centrodestra?

Oggi la Lega porta i suoi voti – e nel suo 33% ci sono senz’altro anche molti voti dei moderati – su una prospettiva che può apparire eversiva in merito alla collocazione internazionale dell’Italia e alla sua stabilità economica e finanziaria. La Lega è ancora vista dall’establishment come un pericolo, e l’establishment in chiave anti-Salvini – come si è visto anche nella crisi di agosto – conta eccome. Ma questa trasformazione mira ad affrontare anche un’altra sfida.

Quale?

La Lega deve radicarsi, trovando una classe dirigente, al Sud. Perché l’operazione di Salvini al Sud, pur essendo riuscito a metterci un piede, non ha sfondato. Il voto in Calabria è abbastanza clamoroso: la Lega ha perso dieci punti rispetto a un anno fa e soprattutto il centro del centrodestra lo ha surclassato. E questo accadrà anche in Campania e in Puglia. Salvini ha bisogno di una classe dirigente al Sud se vuole essere un partito nazionale e se vuole avere la forza elettorale per comandare nel centrodestra.

Non essendo riuscito a dare la spallata con il voto in Emilia, quanto paga l’attuale strategia della Lega e del centrodestra – vivere di rendita sull’immobilismo del Conte 2?

Può pagare in termini di consenso, perché di errori il governo ne commette e ne commetterà ancora per la sua debolezza intrinseca. Poi, però, è come in Borsa: le tue azioni salgono, salgono, ma se non le vendi al momento giusto, non incassi mai e magari scendono. Il problema è come trovare il punto del fixing, cioè il momento del voto: se questo momento non arriverà fino al 2022-2023, tre anni sono tanti. Alla Lega conviene seguire una strategia diversa.

Che cosa dovrebbe fare, secondo lei?

Costruire una classe dirigente e una proposta politico-programmatica credibile e accettabile. E soprattutto costruire un centrodestra meno instabile di quello attuale. Forza Italia, secondo molti dei suoi stessi dirigenti, non è detto che sarà ancora in piedi fra tre anni, perché troppo legata alle sorti personali e anagrafiche di Berlusconi, mentre la concorrenza fra Salvini e Meloni è destinata a crescere, come vedremo già nelle prossime regionali.

In questo scenario, sbarazzarsi di Salvini con il voto sul caso Gregoretti non rischia di trasformarsi in un autogol per la maggioranza giallo-rossa e in un assist vincente per il centrodestra?

Anche se il Parlamento voterà l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, non credo che Salvini rischi dal punto di vista giudiziario, piuttosto rischia il centrosinistra di regalargli il piedistallo del martire. Nel caso della Gregoretti persino la Procura aveva chiesto l’archiviazione. Difficile immaginare che Salvini possa essere fatto fuori per via giudiziaria. Altro è il tema che, se la Lega non sarà il dominus assoluto del centrodestra alle prossime elezioni, quando arriveranno, allora può essere che la coalizione debba trovare una personalità diversa da mandare a Palazzo Chigi. Anche per questo motivo la Lega si è messa in moto per costruire un’alleanza più stabile e più sicura.

Un’ultima domanda. La Ue ha lanciato un dibattito sulle regole di bilancio. Può essere l’inizio della fine dell’austerity? E l’Italia potrà avere un po’ più di respiro sui conti pubblici da Bruxelles?

L’austerità come è stata applicata nel caso della Grecia non è più proponibile, anche perché non c’è più l’emergenza finanziaria di allora. Però non c’è molto da illudersi sulla benevolenza dei paesi del Nord Europa. Anzi, più il sovranismo si afferma nel Nord Europa e meno questi paesi saranno tolleranti nei confronti di eventuali cicale mediterranee, Italia compresa. Quindi, meccanismi meno rigidi sì, ma non a scapito della tenuta generale dell’euro.

(Marco Biscella)

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