Interrogarsi su chi sia e cosa voglia l’uomo Vladimir Putin è una domanda sociologicamente improponibile oltre che assolutamente inutile. Per quanto l’ego di Putin possa essere dipinto come sconfinato e ci si impegni a rintracciargli tutte le patologie possibili, facendo del suo stato di salute l’informazione-chiave, è abbastanza evidente che questi svolge un ruolo e assolve una funzione. Tanto la prima quanto la seconda sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica del suo Paese e quindi del tutto esplicite.



Ciò non esime da errori, scelte tragiche, follie personali e emozioni collettive. Il legame tra i dittatori ed il proprio popolo è stato sempre fondato su di un’affezione che va al di là delle qualità strategiche e delle capacità professionali dei primi, ma si ricollega invece ad un sentimento, ad un tessuto di valori comuni che il leader alimenta ed il popolo riconosce. Noi, in Italia, l’abbiamo vissuto con Benito Mussolini, i nostri amici tedeschi hanno confermato tre volte Hitler al potere, per non parlare del culto della personalità che è stato tributato al compagno Stalin dentro e fuori dalle mura della vecchia Unione Sovietica; e che dire del “grande timoniere” Mao-Tze-Tung, il cui libriccino di pensieri si vendeva addirittura nei grandi magazzini romani degli anni settanta?



Tempo perso quindi. Tempo che invece si può impiegare utilmente interrogandosi su cosa sia la Federazione Russa, per quello che se ne sa. La Russia – come la Cina del resto – è storicamente un Impero. Lo era prima della rivoluzione del 1917, lo è stato sotto l’Unione Sovietica e lo è ancora sotto Putin. Al contrario dell’Italia mussoliniana, della Germania hitleriana, l’essere un Impero non è stato deciso inopinatamente nel secolo scorso da un uomo della Provvidenza ma, in Russia come in Cina, è preesistente alle volontà dell’autocrate di turno e si conta lungo il filo dei secoli.



Ciò che costituisce storicamente un Impero, ovviamente, prima di essere definito dalla legislazione di questo è innanzitutto un dato di fatto costituito tanto dalle sue dimensioni geografiche quanto dal carattere composito delle popolazioni che vi abitano. In questo senso Putin nel discorso del 9 maggio, arrivando a parlare di una società “multietnica”, ne ha dato una chiara conferma.

È interessante ricordarsi perché gli imperi siano sempre presieduti da regimi autoritari, più o meno coercitivi, e non siano mai stati democratici. La risposta è stata ovviamente già formulata in filosofia politica da secoli ed è ben nota a tutti. Qualunque concessione, qualunque autonomia, qualunque diminuzione dei livelli di concentrazione del potere e di coercitività del suo apparato amministrativo pongono l’intero Impero a rischio di conflagrazione, in quanto le provincie che ne fanno parte sono sufficientemente vaste territorialmente e abbastanza definibili culturalmente da poter rivendicare per loro stesse l’autonomia dello Stato nazione e quindi la separazione dall’Impero-madre.

La fine dell’Unione Sovietica è stata causata da un processo di questo tipo, dopo che il mite e saggio Gorbaciov aveva inaugurato la perestroika come riorganizzazione del potere centrale e la glasnost come modello di comunicazione. Le vecchie repubbliche sovietiche che ne facevano parte si sono dichiarate immediatamente autonome. La Federazione Russa che gli ha fatto seguito è incappata in un declino fatto di miseria economica, degrado politico e corruzione, con episodi di crescente ingovernabilità. Ed è alla fine di un tale degrado che l’ethos dell’Impero ha ripreso il sopravvento. Putin, Medvedev e chi verrà dopo di loro sono i rappresentanti di una tale concezione imperiale dell’identità nazionale alla quale la Chiesa ortodossa di Kirill ha restituito immediatamente il valore aggiunto della tradizione religiosa: correlato sacrale di ogni Impero venuto dalla Storia e non deciso da un oscuro dittatore di passaggio. Chi vagheggia la fine di Putin deve fare i conti con la realtà della “Santa Madre Russia” che “tutti nutre e da tutti è difesa, fino alla fine”.

“Ogni società si nutre della falsa moneta del proprio sogno” scriveva Marcel Mauss negli anni Trenta, nessuna società è esclusa da una tale necessità e la Russia non costituisce certamente un’eccezione.

Ovviamente gli Imperi si possono bloccare nelle loro mire espansive, ma se si vuole semplicemente distruggerne le dittature che li governano, come qualcuno serenamente auspica, occorre tenere conto degli effetti distruttivi che conseguono alla caduta di ognuna di queste. La balcanizzazione della ex Jugoslavia con il suo terribile corredo di massacri tra etnie, ma anche la più recente guerra civile interna alla Libia, nella quale questa nazione è precipitata dopo che abbiamo deciso di esportarvi la democrazia, consegnando Gheddafi alla vendetta delle etnie che questi soggiogava, sono esempi sufficientemente vicini per non incorrere in soluzioni troppo semplici ed immediate. Una soluzione di questo tipo nella Federazione più vasta del pianeta provocherebbe uno tsunami politico e bellico incalcolabile. Solo degli sciocchi possono desiderarla.

Che fare? Certamente impedire otto anni di guerra nel Donbass sarebbe stata una buona idea e tutti coloro che hanno finto di non sapere sono responsabili di questo disastro. Ma anche ignorare la storia e la sociologia politica non può che avviare ai peggiori disastri.

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