Euro Modo (mi ispiro liberamente ad un film grottesco del 1976, Todo Modo) – Qatargate e Maroccogate – si sviluppa a partire dal 2021, durante una misteriosa epidemia che miete molte vittime, in un eremo-prigione post-moderno denominato Parlamento europeo dove si incrociano capi politici, industriali, banchieri, servizi segreti, lobbisti e giornalisti, tutti appartenenti alle varie correnti del partito unico dell’europeismo.



L’europeismo, ideologia utopica per eccellenza, ha elaborato un certo numero di concetti e “valori” di puritanesimo morale per rimuovere le patologie europee (violenza, colonialismo, razzismo, eccetera) e ha importato dall’America il pensiero decostruttivista rielaborato negli Studies e in seguito, con l’aiuto della piazza e dei social network, il “wokismo”.



Da Maastricht in poi, l’europeismo wokista è diventato sempre di più “un pensiero prometeico ipercostruttivista, che incita a distruggere tutto per poi ricostruire tutto”. Da qui l’ossessione europeista per il rinnovamento, tra litigi continui e violenti, e accuse reciproche, sotto la guida dell’ambigua Commissione, molto influente al fine di mantenere il proprio potere, e del più conciliante, bonario, Parlamento europeo; tra i due un Presidente che mira ad accontentare tutti con la magia dell’unanimità. In guisa di novelli calvinisti, gli europeisti wokizzati vedono l’umanità consumata da un male che bisogna combattere con ardore mediante i “valori” europei universali; è l’Europa globale tanto cara alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e al suo vice, capo della diplomazia (armata), Josep Borrell.



Con la gestione pandemica abbiamo raggiunto l’apice, per cui anche il dibattito pubblico risulta sospetto (infatti la presidente Ursula von der Leyen non risponde alle insistenti richieste del Parlamento europeo per chiarire sull’uso degli enormi fondi anti pandemici). La democrazia non è più vista come un teatro dove si confrontano, alla luce della ragione naturale, punti di vista differenti. Tutto è trasfigurato in una guerra tra oppressori e vittime, progressisti e reazionari, sostenitori della diversità e turiferari del ripiegamento identitario (la guerra in Ucraina e l’ossessione anti Putin divenuta anche anti-russi, ne è l’esempio lampante).

La logica comunitarista dell’ideologia europeista – una discorsività fatta di sospetto e di intimidazione generalizzati, iniziata con la crisi finanziaria del 2008 – ha aggravato il risentimento e l’aggressività che, secondo il “credo” europeo, solo un’apertura radicale – non la “società aperta” del liberale Popper ma quella sostenuta dal miliardario Soros con l’accoglienza incondizionata dell’altro, idealmente non occidentale – permette di intravedere la speranza di una redenzione e di una rigenerazione. Auguri!

In questo clima, aggravatosi con il continuo emergenzialismo, più dell’entropia è l’obsolescenza – di prodotti, argomenti, coscienze, diritto e diritti – che fa ricadere ogni evento e ogni argomento nel dimenticatoio e lo sostituisce con il successivo, creando una reattività compulsiva e un continuum senza memoria, privo di vera condivisione e dell’intensità del vissuto (ad esempio, il Climate Change, il Green Deal, l’irrinunciabile transizione energetica).

È in questo contesto antinomico tra spazio e società che alcuni servizi segreti (ci dicono essere sei) sono intervenuti a tutela di interessi (di chi?) e dell’ordine (quale?) con attività spionistiche, degne di un romanzo di Le Carré, che nell’estate 2022 sono state “vestite da corruzione” e quindi passate alla magistratura inquirente belga. Nasce il fenomeno mediatizzato “Quatargate”, che poi si è scoperto essere anche “Maroccogate”.

È chiaro a tutti ormai che, in larga misura, la crisi è ormai fuori dal controllo dell’Ue: “La democrazia europea è sotto attacco” (Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo), e “Questo è doloroso e dobbiamo lavorare di nuovo sodo per riconquistare fiducia e fiducia” (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione). Dal punto di vista delle pubbliche relazioni, la tempistica non avrebbe potuto essere peggiore. Giovedì 15 dicembre, i presidenti e i primi ministri europei si sono riuniti a Bruxelles per l’ultimo vertice dei leader dell’Ue nell’anno 2022, battezzato “il vertice dell’orrore”. Il presidente, Charles Michel, è in evidente imbarazzo poiché ha partecipato all’apertura della nuova ambasciata dell’Ue a Doha a settembre e ha parlato della necessità di impegnarsi in modo costruttivo con il Qatar (in che cosa differisce dalle parole usate dall’arrestata parlamentare Eva Kaili?), in particolare alla luce della crisi energetica esacerbata dall’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Dalla Germania, il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck ha detto che Berlino vuole mantenere le forniture di gas dal Qatar, nonostante lo scandalo di corruzione.

Fa piuttosto rumore il composto silenzio americano su quanto sta accadendo in Europa, loro alleato dal 1945. Un rumore che alimenta sospetti (probabilmente infondati) visto che sia il Qatar che il Marocco, per non parlare della Polonia dove risiede l’ambasciatore del Marocco coinvolto con l’arrestato Panzeri, sono state e sono piazzeforti degli interessi statunitensi, dei loro militari e dell’intelligence a stelle e strisce. L’agitazione del presidente francese, in caduta libera in casa, è tutta finalizzata ad un recupero d’immagine e di ruolo internazionale; la sua nazionale di calcio con 8 su 11 giocatori della Franceafrique, simbolo ed emblema dell’impero europeo superstite, riporta alle riflessioni presentate all’inizio di questo articolo.

Sembra palese che la narrativa sulla “corruzione”, e gli eclatanti arresti e sospensioni dagli incarichi, nasconda il fatto (reale) che la sfida e la crisi è molto più politica perché colpisce il “ventre molle” dell’Occidente: l’Europa. È probabile che la crisi sulla presunta “corruzione” sia prodromica e funzionale ai passaggi che seguiranno: la presa d’atto di una nuova situazione geopolitica che inevitabilmente dovrà passare attraverso nuovi accordi globali (dopo quelli di Teheran del 1944 e Yalta del 1945) sulla testa dell’Europa.

Sul piatto della contesa si trovano le reti finanziarie: quelle woke promotrici del mantra della anti-corruption; quelle variegate ma convergenti della post-finanza – science&tech, trans and post-human, crypto – che intendono sostituirsi al blocco di potere woke; quelle dei detentori di petrodollari che non potendo colpire direttamente gli Stati Uniti (come avvenne nel 9/11) partecipano alla spartizione dell’Europa (loro obiettivo plurisecolare); quelle alter-finance, capitanate dalla Cina, prima detentrice assoluta del debito americano, attraverso le galassie Brics e Sco, in ampia espansione, che mirano ad un ruolo riconosciuto a livello globale.

La politica woke (in prevalenza Dem americani e istituzioni europee) è inchiodata alla “guerra di liberazione dalla Russia” che sarà sempre più costosa dopo il fallimento della piattaforma Ftx e l’interruzione del flusso crypto a sostegno del clan Zelenski. La Russia potrebbe approfittare del “momento” per lanciare una rivincita sul terreno, come da giorni paventano gli ucraini, per realizzare lo scopo iniziale enunciato nel famoso discorso del 22 febbraio (la rimozione dell’attuale governo di Kiev). A quel punto, augurandoci che non arrivi, le truppe woke dovranno decidere se entrare in guerra con la Russia. L’indagine sulla corruzione nelle istituzioni europee sarà rapidamente dimenticata.

(1 – continua)

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