Una settimana fa il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans disse che “in piena crisi del gas il carbone non è più un tabù”. Un paio di giorni dopo ha precisato che “entro fine anno sarà dato lo stop alla dipendenza dal gas russo”.
L’altro giorno ha suggerito che per superare l’emergenza dei prezzi e delle forniture di gas è opportuno abbassare i termosifoni di un paio di gradi. Subito dopo è esploso in un inno al “green deal”, ovvero la rivoluzione verde: “Farci la nostra energia è la risposta migliore per renderci autonomi”. Nessuna di queste quattro affermazioni è risolutiva né è attuabile in tempi brevi, se non l’aggiustatina ai termostati così apprezzata da intellettuali e vip che indossando un cachemire sopra l’altro risolvono ogni problema.
Le parole di Timmermans danno comunque la misura di come si stia muovendo oggi l’Europa sulla crisi ucraina: senza una linea chiara. E l’Italia appare ben contenta di farsi dettare questa agenda ondivaga. Mario Draghi appare sempre più svogliato e sempre meno incisivo. Il prestigio riconquistato negli scorsi mesi sul palcoscenico internazionale è svanito: Francia e Germania hanno ripreso le redini degli affari europei. La burocrazia di Bruxelles approfitta della guerra in Ucraina per imporre le riforme che non è riuscita a fare passare con la pandemia. Come per esempio il catasto: Draghi s’impunta da una parte, il centrodestra dall’altra e intanto le aziende chiudono non perché non abbiano lavoro, ma perché ne hanno troppo ma non riescono a procurarsi le materie prime e a pagare le bollette. Su questo, l’esecutivo balbetta.
Dopo la rielezione di Mattarella, il governo di cosiddetta unità nazionale è imploso. Il Pd si riscopre guerrafondaio e rispolvera le battaglie identitarie già bocciate nei mesi scorsi, il M5s si prepara al tracollo elettorale, Forza Italia è impegnata nei preparativi delle pseudo nozze di Berlusconi, Renzi deve rifare i conti di casa, la Lega cerca di distrarre l’attenzione da Salvini. Una cosa sola appare certa, l’ha detta Mattarella l’8 marzo: dobbiamo prepararci ai sacrifici, c’è un prezzo da pagare e lo pagheremo. L’Italia è sempre più debole e rassegnata. Vengono al pettine i nodi di questi anni: la mancata crescita, l’impennata dei prezzi, la totale dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico. Tra la gente è cominciata la corsa all’accaparramento alimentare e lo stesso Draghi ormai parla apertamente di economia di guerra, che significa razionamenti.
Sono palliativi che non risolvono i problemi ma servono a scaricare sul cattivissimo Vladimir Putin tutte le colpe di questa situazione. Il gas era salito di prezzo ben prima dell’attacco all’Ucraina, così come il petrolio e i carburanti. Un mese fa l’inflazione percepita era al 9% e molte aziende mettevano già in cassa integrazione gli operai per il costo esorbitante delle bollette. Eppure ora la responsabilità è tutta delle bombe russe. Ma se la crisi dovesse perdurare, il governo ha intenzione di intervenire o continuerà a traccheggiare perché tra qualche mese si vota? E gli italiani cosa faranno? Daranno retta alla propaganda nostrana oppure si faranno qualche domanda sull’operato del governo?
Ecco un interrogativo che, assieme agli altri, contribuisce a rendere ancora più incerta questa difficile fase.
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