Il semestre bianco inizia con l’atteso via libera alla riforma della giustizia da parte della Camera. Un risultato importante per il Governo, «grazie a un lavoro attento e a un misto tra decisionismo e mediazione da parte di Draghi», spiega Guido Gentili, ex direttore de Il Sole 24 Ore. Non sono però passate inosservate le “defezioni” nel Movimento 5 Stelle, specialmente quelle della votazione di domenica, che non sono piaciute, come lui stesso ha ammesso, all’ex Premier Conte.



Queste assenze rappresentano un avvertimento per Conte o lo sono per certi versi anche per Draghi?

Direi entrambe le cose. Certamente il percorso che ha portato all’approvazione della riforma della giustizia ha inciso profondamente sul corpo del Movimento 5 Stelle, che resta comunque il partito di maggioranza relativa. Esiste quindi una frangia, che non sappiamo ancora valutare bene numericamente, tra i pentastellati che non ha gradito la soluzione di compromesso trovata dal Governo. E indubbiamente le assenze, che sono arrivate proprio dopo l’appello di Conte a un voto compatto di M5s in favore della riforma, rappresentano un segnale importante per il leader ancora formalmente in pectore del Movimento: una frangia del suo partito vuol fargli capire che non può pensare di muoversi in assoluta autonomia.



Si tratta anche di un avvertimento al Governo in relazione ai prossimi provvedimenti di cui si sta discutendo da diverse settimane?

Dopo la riforma della giustizia ce ne sono altre da portare in porto, come quella sul fisco, sulla concorrenza, ma soprattutto, pensando al Movimento 5 Stelle, quelle relative al Reddito di cittadinanza e, in parte, alle pensioni. La misura fortemente voluta dai pentastellati ha funzionato come supporto delle persone in difficoltà nella fase di emergenza pandemica, ma è stato certificato che dal punto di vista delle politiche attive ha fatto clamorosamente acqua, come peraltro si era immaginato sin dall’inizio. Una modifica appare necessaria, ma è un terreno molto scivoloso per il Governo, perché si tocca un nervo molto sensibile nel Movimento 5 Stelle. Conte non a caso in un’intervista a La Stampa ha detto che “il reddito di cittadinanza non si discute, al massimo si migliora”.



Lo stesso potrebbe avvenire per quanto riguarda la Lega sulle pensioni? Salvini ha detto di averne già parlato con Draghi nel corso dell’incontro di settimana scorsa…

Anche in questo caso i risultati dimostrano che, rispetto agli annunci, Quota 100 non ha favorito il ricambio generazionale nel mercato del lavoro. C’è da dire che la Lega può anche “accontentarsi” di una misura che eviti il famoso “scalone” di cinque anni post-Quota 100 e che ora sta tornando a insistere su un altro tema identitario importante, quello dell’immigrazione. Con tutta probabilità non si arriverà a una situazione che richiederà una difficile soluzione come nel caso della giustizia, tuttavia non si può nascondere che Reddito di cittadinanza, pensioni e immigrazione siano temi che creeranno divaricazioni nella maggioranza.

Abbiamo parlato dei temi ritenuti cruciali da Lega e M5s. Per il Pd quello su cui dare battaglia è il Ddl Zan?

Letta ha deciso di presentarlo all’opinione pubblica e al Parlamento come una questione dirimente. Il rinvio a settembre lo ha fatto passare tra i temi di secondo piano, ma per il Pd la situazione è diversa, visto che ne ha fatto una bandiera. Oltretutto c’è il rischio che il ddl venga affossato in aula. Dunque bisognerà vedere cosa deciderà di fare il Segretario dem, che oltretutto si trova in grossa difficoltà per quel che concerne i rapporti con M5s. Conte ha infatti detto che “un’alleanza non si improvvisa. Per il momento accontentiamoci di crearla in quelle città dove ci sono i presupposti”. Letta era ormai entrato nell’ottica di un accordo stabile con i pentastellati, ma non mi sembra di poter vedere all’orizzonte la possibilità di un’alleanza organica o di un accordo politico di ferro.

I problemi per la maggioranza sembrano essere relativi a provvedimenti che non hanno l’importanza delle riforme cruciali per il Pnrr, come fisco e concorrenza, da cui dipende anche l’erogazione delle risorse del Recovery fund.

In realtà sia sul fisco che, soprattutto, sulla concorrenza, sappiamo che le resistenze in Parlamento sono molto forti e trasversali. Prendiamo, per esempio, il capitolo relativo al demanio marittimo e alle concessioni che dovrebbero essere messe a gara, ma che invece negli ultimi due anni, grazie in particolare alla maggioranza giallo-rossa, sono state prorogate fino al 2033. Ci troviamo ora in una situazione per cui, su spinta europea, il Governo dovrebbe prendere una direzione totalmente opposta a quella su cui M5s, Lega, Forza Italia e Pd hanno a suo tempo alzato le barricate in Parlamento. Si tratta di un tema apparentemente piccolo, ma in realtà forte e divisivo e che muove tanti interessi.

Dunque non è da dare per scontato che tutto fili liscio.

La posizione del Governo era di presentare la legge sulla concorrenza entro luglio. Finché il rinvio è tecnico, com’è stato nella realtà per dare precedenza alla riforma della giustizia, non ci sono complicazioni. Se invece diventasse un problema politico, allora la situazione si aggraverebbe, perché stiamo parlando di una delle riforme abilitanti previste dal Pnrr concordate con l’Europa.

Per il momento agli occhi dell’Europa conta come “garanzia” il fatto che ci sia Draghi come Premier.

Esattamente. A maggior ragione dopo che è riuscito a far approvare la riforma della giustizia. Anche in Europa è visibile il fatto che l’Italia su questo punto, se non una riforma salvifica, ha fatto quanto meno un passo in avanti.

Si sapeva da tempo che il Mef stava cercando di convincere Unicredit ad accollarsi Mps. Perché, ora che c’è l’ufficialità di una trattativa, è scoppiato un caso politico?

Il tema è diventato importante e scottante per una concatenazione di eventi. In primo luogo, il fatto che probabilmente serviranno ancora risorse pubbliche per mettere in sicurezza Mps. Sappiamo poi che il Pd è parte importante, nel bene e nel male, della storia di questa banca. In più c’è stato il passaggio dell’ex ministro dell’Economia, esponente dem, eletto nel collegio di Siena, alla presidenza di Unicredit. Per il seggio alla Camera lasciato libero da Padoan, per il quale fino a non molto tempo fa si pensava potesse correre Conte, si è candidato alle suppletive Letta. Si è quindi creata questa situazione politica a imbuto dove i partiti cercano di alzare la testa e di difendere i propri interessi rispetto a un Governo che vuole risolvere questa grana, considerando oltretutto che Draghi sul terreno è molto preparato, visto che ha seguito la vicenda sia quand’era alla guida di Bankitalia che della Bce.

Ci potrà essere qualche risvolto sulla corsa di Letta a Siena?

Credo di sì, anche se lui dice il contrario. Vedremo come si svilupperà la questione nelle prossime settimane. Se dovesse deflagrare ulteriormente, il Segretario del Pd si troverebbe esposto politicamente su una città e su un territorio dove l’opposizione aveva sì perso, ma non di tantissimo, e potrebbe dunque trarne vantaggio. Sono note anche le difficoltà che Letta ha avuto nel rapporto con Italia Viva, che sul territorio toscano ha una forza rilevante, un pacchetto di voti importante. Il risultato delle suppletive potrebbe non essere così scontato.

La vicenda potrà essere usata anche contro Draghi, visto che era alla guida di Bankitalia che autorizzò l’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, operazione individuata da diversi commentatori come quella che ha dato inizio alla crisi della banca toscana?

Ci furono al tempo delle critiche sul fatto che Bankitalia non si era mossa con sufficiente durezza riguardo questa operazione. In verità la figura dell’allora Governatore, anche dopo che ci sono state inchieste sul sistema bancario, non è stata messa in discussione. È possibile che nel corso di una campagna elettorale che, sebbene locale, ha una valenza nazionale, possano emergere ancora delle critiche al Premier, ma non credo avranno alcun effetto pratico.

Il semestre bianco è appena iniziato, ma c’è già chi guarda all’elezione del successore di Mattarella. Che pronostici si possono fare?

Mi sembra ancora presto per fare previsioni, perché questa è una partita che entrerà nel vivo nella fase finale dell’autunno o all’inizio dell’inverno. Al momento non si vedono maggioranze blindate all’orizzonte. Né il centrodestra, né il centrosinistra, dove vale quanto detto prima sui rapporti tra M5s e Pd, riuscirebbero a imporre un loro candidato. Occorre qualcosa che scompagini le carte.

Per esempio?

Nel corso dei prossimi mesi, rispetto ai temi di cui abbiamo trattato, come l’immigrazione, Quota 100, il Reddito di cittadinanza, potrebbero crearsi delle fratture o delle ricomposizioni che potranno far pensare a qualcosa che assomigli a un’alleanza per il voto sul Quirinale. Diversamente, in un quadro generale in cui nessuno mette in discussione Draghi come capo del Governo e tutti ritengono che la sua figura sia legata all’attuazione del Pnrr, al rapporto con l’Europa, alla gestione di questo passaggio complicatissimo, se il Premier non salirà al Quirinale la partita sarà tutta da scrivere. E potrebbe anche esserci l’appello di tutte le forze politiche, in caso di impossibilità ad arrivare a delle soluzioni condivise, a Mattarella affinché accetti un secondo mandato, un po’ come è capitato al suo predecessore Napolitano.

(Lorenzo Torrisi)

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