Nessuna difficoltà per il Governo neoeletto. Camera e Senato hanno votato la fiducia e, prescindendo dalle logiche dell’opposizione che in quanto tale ha diritto di poterne manifestare l’ovvio dissenso, il Presidente Meloni può iniziare il proprio lavoro. In occasione della pronuncia delle cosiddette “Dichiarazioni programmatiche” ai due rami del Parlamento, dall’intero discorso emergono alcuni punti che, se contestualizzati all’attuale scenario economico-finanziario nazionale e internazionale, appaiono già passati alla storia e quindi di dubbio riferimento.
Pertanto, riprendendo e soffermando la nostra attenzione ad alcuni ma principali elementi di natura economica tratti dall’intervento del Premier Meloni, si evincono come corretti i suoi rimandi alle recenti rilevazioni emerse dal Fondo monetario internazionale: «Per l’economia italiana il 2023 sarà un anno di recessione: meno 0,2 per cento, il peggior risultato tra le principali economie mondiali dopo quello della Germania».
Continuando nell’approfondimento, anche quanto riconducibile al debito e alle rassicurazioni nei confronti dei partners esteri è indubbia la veridicità del dato citato poiché in riferimento alle rilevazioni di Eurostat: «Ci è stato chiesto come intendiamo tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito al 145 per cento del Pil, secondo in Europa soltanto a quello della Grecia».
Al pari di questi rimandi, anche altri “numeri” trovano la loro (corretta) collocazione nella cronaca finanziaria, ma l’insieme di tutto questo potrebbe non essere qualitativamente sufficiente in veste di base di partenza per il nuovo Esecutivo. Nel merito, i precedenti elementi da noi riportati (soprattutto quello in tema di debito), potrebbero implicitamente celare una scarsa attualità con la realtà dei fatti.
A dirlo, infatti, è una fonte molto vicina a “casa nostra” ovvero l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) che, mediante la diffusione del rapporto sulle “Prospettive della finanza pubblica” (rif. Focus n. 7/2022), sottolinea già nella “Sintesi” come la realizzazione di un piano di ridimensionamento del rapporto tra il debito pubblico e il Pil sia subordinato a un’essenziale e primaria condizione ovvero: «Mentre il sentiero del debito appare più favorevole di quello previsto nei documenti programmatici precedenti – grazie anche al ritorno a un avanzo primario già dal 2023 – occorre sottolineare che ciò si riscontra in una previsione tendenziale a legislazione vigente che, quindi, non incorpora vari fattori che potrebbero produrre un aggravio dei conti». Di fatto, sono queste ultime sottolineature – con particolare attenzione alla cosiddetta «legislazione vigente» e ai «fattori che potrebbero produrre un aggravio dei conti» – che, in chi scrive, fanno emergere dubbi sulla vera e propria validità dei numeri presi in esame dallo stesso Premier Meloni.
Tale nostra perplessità trova un’ulteriore e concreta valenza se si riprende la parte iniziale della stessa Sintesi redatta dall’Upb: «Questo Focus illustra le prospettive dei principali aggregati della finanza pubblica prendendo come riferimento lo scenario a legislazione vigente presentato dal Governo nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) 2022 e successivamente ribadito nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) presentato alla Ue». Ovvero: un chiaro e inequivocabile rimando alle precedenti stime a firma del Governo Draghi ormai relegato al passato. Attualizzando, invece, il contesto previsionale in ottica futura in dote al Governo Meloni, il nostro dubbio trova certamente il suo più trasparente riscontro proseguendo nella precedente lettura: «Ambedue i documenti (rif. Nadef e Dpb) saranno aggiornati dal nuovo Governo con la presentazione dello scenario programmatico prima della predisposizione della legge di bilancio». Semplificandone il concetto, il messaggio che ne consegue, è assai molto diretto: le previsioni finora diffuse non possono essere prese come riferimento, ma spetta al nuovo Governo eletto rivederle.
Concretamente si tratta di un brusco inizio per il Premier Meloni e la sua intera squadra: una (obbligata) revisione delle principali stime economiche del Paese – al momento – non sembra poter ambire a migliori prospettive, soprattutto in ambito di finanza pubblica. Anche un eventuale ricorso dialettico ai sempre presenti e ripetuti rimandi al cattivo operato concernete “l’eredità di Governi passati” non appianerà le scontate e infinite obiezioni a critica dell’Esecutivo appena insediato.
Purtroppo è vero: «Siamo dunque nel pieno di una tempesta» e il «contesto nel quale si troverà ad agire il Governo è un contesto molto complicato, forse il più difficile dal secondo dopoguerra ad oggi». E, allora, che si faccia esattamente quello che si deve fare.
Buon lavoro Premier Meloni. Buon lavoro al Governo.
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