Che tristezza. Una tristezza sconfinata, priva di una ragione o, paradossalmente, colma di innumerevoli spiegazioni che tutte convergono nella più assurda, immotivata, incredulità. A noi italiani fare bene o fare male non cambia. Siamo un popolo di scontenti, invidiosi del successo altrui, cinici nel giudicare. Il dato diffuso in queste ultime ore sulla debolezza della crescita italiana è stato immediatamente commentato al pari di un’ovazione e le recenti revisioni (in positivo) della Commissione europea e del Fmi sui nostri conti si sono tramutate in omissioni anziché ricordi.
Come ormai noto il Pil italiano del secondo trimestre ha registrato una flessione rispetto all’Europa e, se per alcuni la rilevazione sia da contestualizzare come una inaspettata sorpresa, la verità, invece, è ben diversa. Inutile ammetterlo, ma, il sentore era già nell’aria: «Germania in recessione. La frenata di cui l’Italia non può rallegrarsi». Questo il nostro titolo dello scorso maggio a seguito dello stato recessivo tedesco.
Oggi, a distanza di numerose settimane, il citato di allora (rif. «il segno meno della Germania, anche se piccolo, è una cosa per cui anche l’Italia non può rallegrarsi») del commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, ne assume i paventati timori. Italia in rallentamento, commentatori al pari di tifosi che inneggiano a questa momentanea debacle, ombre sull’immediato futuro in chiave di potenziale caduta in recessione tecnica.<
Anche ieri la pubblicazione dell’indice HCOB PMI Settore Manifatturiero dell’Eurozona ha visto a luglio una nuova flessione a 42,7 punti rispetto ai 43,4 di giugno.
Un livello, quello finora raggiunto, che si colloca ai minimi degli ultimi 38 mesi e, come indicato a margine del rapporto diffuso da S&P Global, rappresenta la «contrazione più veloce dal 2009 dei prezzi di vendita dei beni dell’eurozona a causa del calo dei costi e crollo della domanda». Guardando unicamente a questo dato, la debolezza italiana trova una sua naturale collocazione che, attraverso la medesima comparazione in ambito di manifattura, la colloca in prossimità della Germania che, però, sta peggio di noi (rif. PMI Manifatturiero tedesco a 38,8 punti).
La Germania, quella storica potenza economica, arranca ancora e non incute più paura tra i suoi simili. Guardando alla sua crescita, infatti, ci si obbliga a commentare attorno allo zero. Un “non pervenuto” che si può osservare nella seconda rilevazione trimestrale riconducibile al Pil tedesco pari a zero. Uno zero che, solo questa volta, vale (molto) almeno dal punto di vista teorico. Nei numeri, beneficiando di questo saldo invariato, la Germania pone un argine al suo precedente status di Paese in recessione (tecnica ndr). Uno zero con funzione di diga a una plausibile (questa volta sì) prosecuzione lungo il tortuoso sentiero di una vera e propria recessione economica e non più solo cosiddetta “tecnica”.
Quel dato (invariato) trimestrale tedesco, nessuno ce ne voglia, lascia effettivamente perplessi. Già lo scorso aprile lo scricchiolio in territorio germanico era stato da noi percepito. Anche oggi, l’insieme dei numeri che provengono dalla Germania né confortano né lasciano ben sperare. Come accaduto per l’Eurozona «navigare attorno alla virgola, soprattutto se prossima alla soglia zero» potrebbe comportare un errore di valutazione. Per i tedeschi non si tratta della prima volta e un’eventuale revisione in negativo certificherebbe una debolezza non solo in capo alla Germania, bensì per tutto il Vecchio continente.
Una possibile verifica a questa ipotesi potremmo ricavarla dagli stessi mercati finanziari, ma, come accaduto di recente, nonostante l’economia evidenzi serie difficoltà, la finanza, all’opposto, festeggia aggiornando i prezzi attraverso nuovi record storici: ovvero quanto accaduto sul principale listino azionario tedesco Dax in queste ultime giornate.
La Germania non ci convince e quel suo gravitare “a zero” non ci consola. Nonostante possa rappresentare una novella dall’attuale lieto fine, l’economia tedesca, almeno questa volta, ci lascia perplessi. In tutto questo, come detto dal Commissario Gentiloni l’Italia non può rallegrarsi, soprattutto, ora, che la realtà dei fatti le ha presentato il conto: plausibilmente più salato ad autunno. Vorremmo sbagliarci e, fin da subito, ci scusiamo con la vicina Germania. Le stesse scuse che vorremmo leggere ed ascoltare dai molti detrattori del Paese Italia che, in veste di solamente critici e mai attori, non si rendono conto di vivere da comparse.
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