Per l’Italia è in arrivo non solo una recessione tecnica (come indicato nel Documento programmatico di bilancio che il Governo Draghi ha inviato a Bruxelles), ma un 2023 che potrebbe chiudersi con il segno meno. Il Fondo monetario internazionale, infatti, nelle sue ultime stime diffuse martedì, prevede un Pil a -0,2% per il nostro Paese, che farà meglio solo della Germania (-0,3%) in Europa. Le cose, però, potrebbero andare ulteriormente peggio e potremmo tornare a essere la maglia nera continentale, come ci aiuta a capire Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Ci può anzitutto riassumere il quadro che emerge dalle previsioni del Fondo Monetario internazionale?
Sì. Il Fmi osserva che c’è una crisi mondiale che si sta propagando alimentata da tre forze: l’invasione russa dell’Ucraina, l’inflazione che si sta rivelando più persistente del previsto e il rallentamento dell’economia cinese. Viene, quindi, stimata una riduzione della crescita e una persistenza dell’inflazione sopra il target delle banche centrali sistemiche per tutto il prossimo anno. Soprattutto, c’è il monito da parte del Fmi che questa crisi non è temporanea, ma persistente, e che sul piano energetico il prossimo inverno, quello del 2023-24 per intenderci, potrebbe essere più duro di quello ormai alle porte.
Soprattutto per l’Europa. Cosa dicono le previsioni del Fmi in particolare per il Vecchio continente?
Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso la crescita dell’Eurozona del prossimo anno di quasi due punti percentuali (da +2,3% a +0,5%) rispetto alla stima di aprile. In particolare, c’è un deterioramento significativo per la Germania e l’Italia. Per quanto riguarda l’inflazione del 2023, per l’Eurozona è prevista, in media, al 5,7%, contro il 3,5% degli Stati Uniti: si tratta di dati nettamente superiori ai target inflazionistici delle rispettive Banche centrali. Per la Germania, la previsione si attesta addirittura al 7,2% e c’è da immaginare che questo creerà pressioni aggiuntive in seno al Consiglio direttivo dell’Eurotower per un ulteriore inasprimento della politica monetaria.
Il che rende il quadro ancora più problematico.
Negli ultimi 10 anni, la politica monetaria e quella fiscale si sono coordinate e aiutate l’un l’altra per cercare di stabilizzare l’economia mondiale. Ora, invece, a fronte della pressione inflazionistica, la politica monetaria si sta inasprendo, e, per via anche delle conseguenze della crisi pandemica, c’è minore spazio fiscale, soprattutto nei Paesi più fragili, per stabilizzare gli effetti della crisi in atto. Il risultato è che il mix tra politica fiscale e monetaria è meno efficace, creando le condizioni per un deterioramento delle prospettive economiche dell’attuale congiuntura mondiale. Senza dimenticare che stiamo attraversando una crisi geopolitica senza precedenti, che non è temporanea, ma destinata anch’essa a permanere.
Tra pochi giorni ci sarà un doppio appuntamento cruciale per l’economia europea: la riunione del Consiglio direttivo della Bce (27 ottobre) e il Consiglio europeo (20-21 ottobre) dove si spera possa essere messa a punto una strategia comune per affrontare la crisi. Alla luce del quadro descritto, cosa ci dobbiamo aspettare?
A meno di sconvolgenti novità che si realizzino nel frattempo, il Consiglio direttivo della Bce procederà a un altro, sequenziale rialzo dei tassi di interesse – l’aspettativa di mercato è di ulteriori 75 punti base. Il corso della politica monetaria, quindi, andrà inasprendosi. Occorre essere consapevoli, tuttavia, che, mentre negli Stati Uniti l’inflazione ha natura domestica, è determinata cioè dalla domanda aggregata, nell’Eurozona è prevalentemente importata e la politica monetaria della Bce non è in grado, per fare un esempio, di far scendere il prezzo del gas che è circa 10 volte il livello medio osservato nella scorsa decade.
Dunque, è tutto più nelle mani dei leader politici europei che non della Bce, come in passato.
A maggior ragione dinanzi alle previsioni del Fmi, che, come detto prima, vedono un livello di inflazione per l’Eurozona significativamente superiore al target del 2% per tutto il prossimo anno, è inverosimile che la Bce possa addolcire la sua postura a breve. La Banca centrale può comunque intervenire evitando di rallentare le politiche di reinvestimento dei titoli, garantendo così la trasmissione ottimale della politica monetaria in tutta l’Eurozona. Questo rimane un aspetto cruciale, specialmente in una fase in cui la flessibilità sui tassi di interesse non è più ritenuta praticabile. Alla luce di questo quadro, è necessario che vi sia un intervento di politica fiscale e regolamentare a livello europeo.
A meno che ogni Paese non decida di fare da sé, come la Germania.
Non tutti i Paesi sono in grado di fornire aiuti fiscali o parafiscali a livello nazionale. A differenza di quanto avvenuto con la pandemia, di fronte alla crisi energetica l’Europa non è riuscita a trovare ancora un approccio condiviso e il prezzo che stiamo pagando è un progressivo marcato deterioramento delle prospettive congiunturali. Peraltro, il recente provvedimento di aiuti annunciato dal Governo tedesco sfalsa il terreno di gioco indebolendo il Mercato Unico poiché le imprese tedesche non pagheranno il prezzo pieno di mercato per le forniture energetiche a differenza dei loro competitori europei. Questo rende urgente e non più rinviabile un intervento a livello europeo, in assenza del quale, considerando che la politica monetaria sta diventando progressivamente più restrittiva e che quella fiscale in molti Paesi non ha la necessaria flessibilità per assorbire l’impatto della crisi energetica, si rischia di assistere a un’ulteriore revisione al ribasso delle previsioni economiche.
Una revisione al ribasso che sarebbe a questo punto più marcata per l’Italia che non per la Germania.
Esattamente. La Germania ha un ampio spazio fiscale per contrastare il marcato deterioramento della sua congiuntura, l’Italia no, perché gravata dall’enorme mole di debito pubblico che costringerà il nuovo Governo a trovare la quadra tra massima responsabilità fiscale e necessità di interventi stabilizzatori e strutturali a favore dell’economia. Di fronte alla crisi energetica, i singoli Stati devono attuare misure strutturali per diversificare il mix delle fonti energetiche. Tuttavia, per quanto riguarda le implicazioni fiscali, va trovata una soluzione complessiva a livello europeo – soluzione che non può più attendere.
(Lorenzo Torrisi)
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