Ne abbiamo 28 maggio, e la Germania ha segnato un grande successo nella sua sagace e implacabile strategia di conquista economica dell’Europa. Per una volta, però, questo successo tedesco potrebbe coincidere con il nostro. Di che si tratta? Del fatto che i 750 miliardi che la Commissione europea ha proposto di stanziare ieri per gli interventi di risposta alla crisi economica indotta dal virus, saranno gestiti in prevalenza nel corso del prossimo semestre, che sarà guidato guarda caso – nel Consiglio europeo, ossia il massimo organo politico dell’unione – proprio dai tedeschi. Non succedeva dal 2007.
Era previsto da sempre, non è stato voluto, ma probabilmente è stata una coincidenza non estranea all’apertura che Berlino ha deciso di fare sulla previsione degli stanziamenti a fondo perduto rivendicati dal “Club Med”, i paesi europei più bisognosi, a cominciare da Italia e Spagna.
Però, certo: l’idea che arrivino in Italia 172 miliardi di euro, dei quali 81,8 a fondo perduto – regali, insomma – e altri 90,9 come prestito da restituire, ma da restituire all’Unione Europea, e non ai feroci mercati finanziari, è un’idea a dir poco confortante.
Gli 80 miliardi finora promessi dal governo Conte per gli annunciati ma non attuati interventi a sostegno dell’economia avremmo dovuto andarceli a finanziare tutti emettendo titoli di Stato e sperando di trovare qualcuno disposto a comprarceli, o almeno di piazzarli alla Bce, altra creatura soggetta prevalentemente ai voleri tedeschi. Ora possiamo finanziarceli – anzi farceli finanziare – praticamente gratis.
In un “day after” del genere le domande che si affollano nella testa di tutti coloro che si interessano di queste cose sono:
1. Ma davvero l’Europa ci darà tutti ’sti soldi?
2. Di chi è il merito?
3. Sapremo spenderli, e come?
Proviamo a rispondere, con un po’ di realismo. La prima risposta è: sì, ce li darà, perché il no di Olanda, Austria e Svezia è chiaramente figlio di una “combine” politica con la Grande Mamma tedesca, che ha affidato ad essi, in questa partita di compromessi, il ruolo dei poliziotti cattivi. C’è insomma da scommettere che da oggi al 17 e 18 giugno prossimi – quando appunto il Consiglio europeo si riunirà per decidere – le trattative tra i Paesi evolveranno nella direzione di un compromesso. L’Olanda e gli altri rinunceranno a porre il veto in cambio di qualche compensazione politica (non contabile) che i Paesi beneficiari dei versamenti a fondo perduto e dei prestiti più consistenti, come noi e la Spagna, dovranno concedere agli altri: qualche riforma in più, sostanzialmente; ma non la cessione di sovranità che la Troika (Unione Europea, Bce e Fondo monetario) impose alla Grecia a suo tempo.
La seconda domanda ha una risposta facile-facile: il merito non è di chi lo rivendica. In particolare non è del Pd, primo gallo a cantare (“Tutti gli strumenti messi in campo fino ad oggi, e la loro immediata disponibilità, vanno nella direzione auspicata dal Governo e per la quale il Partito Democratico ha contribuito a costruire le condizioni in Ue per arrivare a questo punto dei negoziati”, ha già gorgheggiato Nicola Zingaretti, segretario).
Non è vero. Gualtieri c’entra pochissimo e Conte ben poco nella scelta tedesca di ascoltare in realtà le pressioni francesi – terzo Paese beneficiario del megabonus – e di far prevalere la componente negoziale della classe dirigente politica di Berlino sui falchi che ripetevano “nein” a qualunque ipotesi di intervento “solidale”. Da non trascurare che il vero obiettivo tedesco era di non mescolare il merito di credito dei loro beneamati Bund – i titoli di Stato emessi dal Tesoro tedesco – con quello dei Btp italiani e dei Bonos spagnoli; e quindi questa formula escogitata dalla von der Leyen, di finanziare questa montagna di soldi andando sul mercato a chiedere quattrini che saranno garantiti dal bilancio europeo e non dalla Bce – tenendo quindi al riparto i singoli Stati da eventuali polemiche sulla cattiva qualità del debito – accoglie quest’esigenza fondamentale dei tedeschi.
Resta la terza domanda: sapremo spenderli, e come? Qui si “parrà la nobilitate” del governo Conte, e tutto lascia temere che non saremo in grado di spenderli bene. Spenderli sì, spenderli bene no.
Del resto: Conte faceva l’avvocato, Gualtieri è uno storico, Patuanelli è un ingegnere edile (anche bravo, pare) che però nel 2005 ha fondato a Trieste il gruppo Beppe Grillo (ma come si fa?) e basta ricordarsi cosa diceva in quegli anni il comico genovese sui lavori pubblici, l’attività industriale e la decrescita felice per chiedersi “che c’azzecchi” un grillino a gestire lo sviluppo industriale. Poi, per carità: ci metterà anche la buona volontà, ma è poco.
La maggioranza di governo peggiore di sempre, dilaniata tra Pd e Italia viva insieme contro i Cinquestelle, all’interno del Pd, all’interno dei Cinquestelle, è e resta coesa solo attorno alla comune difesa delle poltrone e non va sostanzialmente d’accordo su nulla. La possibilità di gestire un simile tesoro potrebbe riaccendere gli appetiti delle opposizioni e delle correnti di quelli di maggioranza, e accelerare quel lento smottamento verso le elezioni anticipate che il premier e i pochi che gli sono fedeli frenano in tutti i modi.
Detto tutto ciò, tra ieri e oggi la grande differenza è e resta che l’Europa, di fronte all’enormità della ferita pandemica, ha per la prima volta da sempre battuto un colpo. Che non sia l’ultimo, che non venga smentito. Che per favore i soldi ci arrivino. Poi, per quanto male si riesca noi a spenderli, saranno pur sempre soldi keynesianamente benedetti.