Non bisogna esagerare nel sottovalutare Matteo Renzi, come hanno fatto i principali quotidiani che non hanno pubblicato neppure un sunto della sua lunga lettera di critiche al capo del governo. Indubbiamente il leader di Iv ha collezionato errori politici e difetti personali ed è finito a capo di un partitino con prospettive ben limitate. Da premier ha però coltivato rapporti internazionali tali da essere ritenuto affidabile (ed anche ubbidiente) da un lato per la Merkel e dall’altro per la Casa Bianca di Obama (e Biden) ed è pur sempre un soggetto oggi determinante per la tenuta o meno dell’attuale governo.
Ed è agli occhi di queste cancellerie che il governo Conte non appare un interlocutore adeguato. Innanzitutto c’è la questione del Recovery Fund. L’Italia è la prima beneficiaria con 209 miliardi. Non è una vittoria alla lotteria da autogestire. Si tratta di un colossale impegno finanziario per l’Unione Europea sull’Italia perché non sia il “tallone d’Achille” dell’euro. È evidente che da Bruxelles a Berlino e Parigi nessuno pensa che possa gestirli il governo in balìa di una piattaforma Rousseau e dove non c’è nessuno esperto in economia, a cominciare dal ministro che è un insegnante di storia senza titoli in materia. Non a caso la Bce ha attaccato in questi giorni sul piano personale Roberto Gualtieri per il cashback. A sua volta Paolo Gentiloni ha contestato – alludendo a Conte – un Recovery Fund “pensando ai prossimi sondaggi e non alle prossime generazioni”. Parole sprezzanti che sono apparse dettate non dal Nazareno, ma dalla Merkel e dalla Von der Leyen. Conte ha infatti prima incaricato Colao, poi ne ha cestinato il Piano perché conteneva interventi infrastrutturali sgraditi ai 5 Stelle e dopo inutili Stati generali ha ripiegato su una sommatoria di vecchi progetti ministeriali. Chi si espone per 209 miliardi all’Italia – vincendo resistenze di altri governi e con tensioni nel proprio – si aspetta un piano organico di robusto risanamento per l’euro e di ammodernamento con grandi opere – come i “corridoi” dell’Alta Velocità – per lo sviluppo dell’intera Unione.
Le preoccupazioni europee si intrecciano con quelle di oltreatlantico, dato che con l’uscita di scena di Trump si va ricostituendo l’asse Berlino-Washington.
Biden ha già annunciato che il primo impegno dalla Casa Bianca è un “Summit delle democrazie” per ristabilire un fronte economico e militare da opporre a Cina e Russia a cominciare dalla Nato e nel rapporto Usa-Ue. In questo quadro l’Italia ha una sua importanza sia per la Ue dopo la Brexit sia sulla scena del Mediterraneo dopo la defezione di Erdogan. “Penso che l’Italia sarà enormemente importante per la strategia della Nato”: così Michael Carpenter, consigliere di Biden per la politica estera.
L’attuale governo non sembra però l’interlocutore migliore per il prossimo inquilino della Casa Bianca: un premier, “Giuseppi” Conte, che ha messo i servizi segreti italiani a disposizione di Trump sotto attacco democratico per il Russiagate e un ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, impegnato nella Via della Seta e il cui partito da dieci anni traffica con il Venezuela di Maduro.
La tesi prevalente è che Matteo Renzi si muova per avere un rimpasto e portare la Boschi o Rosato al governo. Può darsi, ma le cinque pagine con 14 punti di attacco all’operato del premier che Matteo Renzi ha divulgato e la brevità dell’incontro che c’è poi stato tra Conte e Italia viva a Palazzo Chigi non sembrano preludere alla richiesta di un ministro. Il testo è in sostanza una vera e propria “mozione di sfiducia”: dalla pandemia al Recovery Fund con contestazioni personali per task force, Mes e servizi segreti. È indubbio che la gestione accentrata di Conte si è tradotta in un generale sbullonamento dei rapporti tra Governo, Regioni e Comuni e continui zig-zag tra i vari ministri.
L’interlocutore non sembra più essere quindi Palazzo Chigi, ma il Quirinale (che è anche il punto di riferimento ormai primario per le cancellerie) nel senso che ora il presidente Mattarella ha di fronte alcune settimane per trovare una soluzione. L’inamovibilità del premier non è poi così scontata.
Conte non fa mistero di quale sia il suo obiettivo: o andare al posto di Mattarella nel 2022 oppure capitanare nel 2023 una lista sottraendo voti ai propri attuali alleati di governo. Non è quindi così carismatico agli occhi del Quirinale e di altri leader della maggioranza.