Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha nuovamente espresso ottimismo sulla ripresa, spiegando, durante l’audizione alla Camera sul Decreto sostegni bis, che probabilmente potrà essere rivista al rialzo la stima del Pil al +4,5% nel 2021, ma il Governo farà eventualmente in maniera ufficiale questo passo solamente in autunno quando si tratterà di stilare la Nota di aggiornamento al Def. Ancora più ottimista il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, secondo cui la crescita sia quest’anno che il prossimo potrà essere superiore al 5%.



Previsioni che sembrano stridere col dato diffuso ieri dall’Istat relativo alla spesa mensile delle famiglie che nel 2020 è stata inferiore del 9% rispetto al 2019 (tornando ai livelli del 2000) e che nel primo trimestre del 2021 resta sotto il 3,4% in termini tendenziali. La contraddizione, però, come ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, è soltanto apparente.

Professore, cominciamo dalle stime del Presidente di Confindustria. L’Italia può crescere davvero così tanto in questo biennio?

Si tratta certamente di un’ipotesi molto sfidante, soprattutto per quel che riguarda il 2022. Crescere oltre il 5% per due anni non sarebbe un rimbalzo, ma vorrebbe dire aver innestato una marcia in più rispetto a quello che è stato il trend del Pil italiano negli anni precedenti la pandemia. Ci sono tuttavia almeno tre elementi che giocano a favore di questo scenario.

Quali?

Il primo è che il piano vaccinale sta procedendo a buon ritmo e ciò pone le condizioni per un rilancio nei settori che erano stati più danneggiati dal lockdown, in modo particolare il turismo e i trasporti, che si prospettano quindi come quelli che potranno registrare nel corso dei mesi estivi un rimbalzo considerevole. Il secondo elemento lo possiamo estrapolare dai dati dettagliati sul Pil del primo trimestre diffusi la scorsa settimana dall’Istat.

Cosa possiamo trovare in questi dati?

Gli investimenti fissi lordi totali hanno toccato un massimo storico a livello trimestrale pari a 79,9 miliardi di euro. Si tratta di un dato dovuto principalmente alla crescita degli investimenti in abitazioni (18,6 miliardi, altro livello record) e in fabbricati non residenziali e altre opere (18,9 miliardi). Se quindi il Pil del primo trimestre è inferiore di circa 28 miliardi a quello del primo trimestre del 2019, cioè prima dello scoppio della pandemia, ciò non dipende dagli investimenti e nemmeno dalla spesa pubblica, che è aumentata leggermente (+2,4 miliardi).

Da cosa dipende allora questo calo?

Dalla spesa delle famiglie, scesa di 28,8 miliardi. È molto interessante vedere che la spesa delle famiglie sul nostro territorio economico è sotto di 34 miliardi, ma nei beni durevoli è sopra di 312 milioni, mentre in quelli non durevoli è diminuita di 330 milioni e in quelli semi-durevoli di 4,5 miliardi.

Dunque il calo non è stato principalmente determinato da mancati acquisti di beni…

Esattamente. Mancano infatti all’appello 29,5 miliardi di consumi in servizi. E ci sono poi quasi 9 miliardi di minori spese in Italia dei non residenti. È chiaro che questi consumi non sono diminuiti per un crollo del reddito, ma quasi esclusivamente per gli effetti del lockdown. Quindi è del tutto logico pensare che una volta venute meno le limitazioni ad attività economiche e spostamenti ci possa essere un rimbalzo estremamente considerevole e un riconsolidamento dei consumi precedenti la pandemia. In parte lo stiamo già vedendo coi bar e i ristoranti riaperti.

Dunque il fatto che i consumi delle famiglie siano crollati non compromette la ripresa del Pil?

Mentre i consumi sono crollati sono aumentati i risparmi. Questo non solo in via precauzionale: in gran parte si è trattato di risparmio forzato, perché non c’è stata la possibilità di effettuare alcuni consumi. C’è quindi un potenziale di spesa che può anche giustificare previsioni più ottimistiche di quelle finora emerse. Staremo a vedere se si potrà arrivare sopra il 5% per due anni consecutivi. Molto dipenderà anche dal terzo elemento che gioca a favore di questo scenario.

Di che cosa si tratta?

Del Pnrr. Nel momento in cui Draghi riuscirà effettivamente a mettere l’olio giusto negli ingranaggi di un meccanismo che troppo spesso si è inceppato in Italia, quello della spesa, e a incanalare lungo le direttrici indicate nel Pnrr le risorse europee che abbiamo a disposizione, avremo ulteriore carburante da aggiungere ai ritmi della ripresa attesa. Specialmente per quel che riguarda il 2022.

Ritiene sarebbe utile, com’è stato anche suggerito dal Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, rendere in qualche modo strutturale il Recovery fund?

Penso che converrà procedere con gradualità e valutare i progressi che si otterranno dal qui al 2026. È chiaro che se ci fossero dei miglioramenti strutturali, di efficienza, di aumento del Pil potenziale, a quel punto si potrà studiare, nell’ambito del ridisegno delle politiche fiscali europee, di consentire dei margini di manovra, magari tramite strumenti simili agli eurobond, anche se non con questo nome.

A proposito delle politiche fiscali europee, teme che possano essere prese decisioni che possono incidere negativamente sul quadro della nostra ripresa?

Credo che sia ancora presto per capire quali saranno gli orientamenti concreti, anche perché non sappiamo quali saranno gli equilibri politici interni di importanti nazioni come Germania e Francia. A mio avviso è chiaro che nel momento in cui si evidenzierà che la ripresa del Pil permette di gestire meglio anche i parametri della fiscalità, quindi i rapporti deficit/Pil e debito/Pil, in qualche modo saranno i fatti che indicheranno la direzione da prendere. La Commissione europea potrebbe trovarsi di fronte a degli eventi che prima non c’erano, come un recupero di efficienza e di produttività del nostro Paese che dimostreranno che la strada scelta è quella giusta. Abbiamo davanti uno scenario per cui è possibile che i progressi economici facciano cambiare anche i paradigmi di riferimento: non è detto che si tornerà ai parametri di Maastricht.

Teme invece che la Bce possa ritirare troppo presto le sue politiche espansive?

Non mi sembra che la Bce sia un’istituzione che fa il passo più lungo della gamba, per cui prima di decidere vedrà se effettivamente ci sarà la crescita attesa. E anche quando si consolidasse uno scenario di crescita, ritegno che l’Eurotower interverrà con molta attenzione per evitare di andare a bloccare il consolidamento di un processo di ripresa importante.

(Lorenzo Torrisi)

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