Dicono che Romano Prodi abbia penato non poco a convincerlo, ma che alla fine ci sia riuscito. Dicono che Ernesto Maria Ruffini sia pronto al “grande salto”, a proporsi come possibile catalizzatore dell’area cattolica che sta a sinistra. Dicono che il salto sia imminente. E visto che non si tratta di un nome noto al grande pubblico bisogna chiedersi chi sia, e soprattuto se abbia i numeri per un’avventura politica così piena di incognite.
Oggi è il direttore dell’Agenzia delle Entrate, ruolo che ricopre con successo dal 2020, dopo averlo rivestito anche fra il 2017 e il 2018. E prima ancora, dal 2015, era stato amministratore delegato di Equitalia. Praticamente da Renzi a Meloni tutti i presidenti del Consiglio si sono fidati di lui nella lotta all’evasione fiscale. Tutti tranne il governo Conte 1, soprattutto per via di una spiccata antipatia reciproca con la Lega e con ogni idea di federalismo fiscale o di autonomia differenziata. Alla fine, però, nemmeno l’arcigno ministro Giorgetti ha potuto negare gli straordinari risultati nel contrastare il “nero” ed i furbetti delle tasse: solo nel 2023 sono stati recuperati dall’evasione ben 31 miliardi di euro, tanti quanti una legge di bilancio. Naturalmente un record.
Ma come può pensare uno sceriffo antievasione di risultare simpatico scendendo in politica? Paradossalmente proprio per la fama di fedele servitore dello Stato e del bene comune. Lo ha fatto capire con il suo libro del 2022, che proprio questo autunno ha ricominciato a portare in giro per serate negli ambienti più disparati, Rotary club compresi. Il titolo è tutto un programma: Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 ad oggi. A vergare la prefazione nientemeno che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con passaggi eloquenti, come quando il Capo dello Stato afferma: “le leggi da sole non bastano. Le parole scritte nelle raccolte legislative rischiano di rimanere fissate solo sulla carte se non sono anche accompagnate dalla capacità di ognuno di fare il proprio dovere, di sentirsi parte di una comunità”.
Questo mettersi nella scia di Mattarella è una rilevante chiave di lettura. L’humus, infatti, è simile. Ernesto Maria Ruffini nasce a Palermo nel 1969, figlio di Attilio, maggiorente della Dc, ministro della Difesa durante il sequestro di Aldo Moro. Ernesto porta il nome dello zio che fu cardinale arcivescovo di Palermo ed era scomparso due anni prima. Ed era proprio seguendo lo zio cardinale che la famiglia Ruffini si era trasferita da Mantova a Palermo, acquisendo un nome di rilievo in una galassia democristiana dove Piersanti Mattarella prima e Sergio poi erano punti di riferimento per altre personalità che avrebbero segnato la storia politica, come Leoluca Orlando o Vito Riggio. Fratello maggiore di Ernesto Maria è Paolo, giornalista, direttore del Giornale Radio Rai, di Rai3, di La7 e da sei anni prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede.
Ernesto Maria Ruffini tanto per nascita quanto per meriti acquisiti sul campo ha davvero i numeri per aspirare a un ruolo. “Non siamo e non possiamo essere spettatori”, spiega nelle conferenze, che si sono fatte sempre più fitte, in cui esprime apertamente perplessità verso presenze salvifiche in politica. Ma quale può essere lo spazio politico che può occupare, con la benedizione di Prodi e – pare – la non ostilità del manovratore delle tessere per eccellenza, Dario Franceschini? È forse la domanda chiave. Potrebbe limitarsi a riunire i cattolici dentro il Pd, oppure creare una Margherita 2.0, per colmare il vuoto che la Schlein ha creato verso il centro, e federarla con i democratici. Ma è proprio il rapporto con la segretaria del Pd la maggiore incognita di una possibile (per molti probabile) operazione Ruffini. Ma i se e i ma cominciano a diventare troppi, e solo il tempo ci dirà se la segretaria dovrà temere per il proprio posto, oppure per quello di sfidante di Giorgia Meloni per Palazzo Chigi. Oppure per entrambi.
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