Il bilancio è salito di ora in ora, fino a 143 morti. Un attentato devastante, quello perpetrato nella Crocus City Hall alla periferia di Mosca, che ha colpito per modalità e brutalità dell’assalto e sul quale ora si cominciano a fare i primi ragionamenti sulle responsabilità. C’è la rivendicazione dell’Isis, osserva Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi, tra cui Afghanistan, Libano, Somalia e Kosovo, ma anche il coinvolgimento dei tagiki, originari di una regione musulmana da sempre spina nel fianco dei russi, e un possibile apporto fornito da Kiev in modo ancora imprecisato: secondo quanto affermato dalle autorità di Mosca, i terroristi quando sono stati catturati si stavano dirigendo verso il confine dell’Ucraina.



Se così fosse la reazione della Russia potrebbe addirittura alzare il livello militare del conflitto con gli ucraini, e l’azione della Crocus City Hall potrebbe essere stata messa in atto per alzare la tensione e cercare di allargare la guerra, puntando a un intervento più diretto dell’Europa e, ancora meglio, della NATO.



Generale, come mai l’ISIS decide di colpire Mosca?

I terroristi sono tagiki, fanno parte di quelle ex repubbliche dell’URSS meridionale, islamiche come religione, nelle quali si è sempre riscontrata una certa facilità a reclutare terroristi animati da ostilità nei confronti della Russia. L’Isis ha rivendicato l’attacco: è un’organizzazione centrata nell’area mediorientale e in Africa, ma ha possibilità di reclutare sicari nelle aree teatro del blitz. L’ISIS è nemico giurato della Russia: se non si è impadronito della Siria è stato proprio a causa di Mosca. È un nemico conosciuto, sempre che la rivendicazione sia vera.



Ci sono però altri aspetti da prendere in considerazione che allargano lo spettro delle responsabilità. Può esserci anche altro? Non solo la mano degli islamici?

I terroristi sono stati presi mentre scappavano verso l’Ucraina. Sicuramente hanno avuto bisogno di una preparazione, di basi di addestramento, materiali e armi. Che siano in qualche modo legati all’Ucraina non è affatto dimostrato, ma è possibile, per via della coincidenza di obiettivi tra ISIS e Ucraina. Le forze di Kiev sono entrate maggiormente in crisi dopo il fallimento della controffensiva e dopo il successo russo con la presa di Avdiivka e l’offensiva che si sviluppa su tutto il resto del fronte. Zelensky da sempre è impegnato ad allargare il conflitto, con gli attacchi a Belgorod, con il tentativo di prendere possesso di passaggi di frontiera fra Ucraina e Russia in quell’oblast, con il bombardamento di depositi di petrolio in Russia. È chiaro che l’Ucraina declina ogni responsabilità, ma resta il fatto che un effetto che potrebbe avere questo attacco è una sovra-reazione russa, che dato il clima generale dovuto alle prese di posizione di Macron e del Consiglio Europeo potrebbe favorire un allargamento del conflitto che andrebbe a favore dell’Ucraina.

Ammesso che gli ucraini abbiano qualche responsabilità, potrebbero aver concordato o avvisato gli USA di quello che stavano facendo?

In questo momento non si può dire. Gli USA avevano lanciato un allarme sulla possibilità di attentati in aree affollate. La Russia ha chiesto loro cosa e perché lo sapevano: vedremo come risponderanno gli americani. Non credo che gli Stati Uniti siano coinvolti, ma potevano avere informazioni importanti. Una cosa è certa: l’attacco lo hanno commesso dei tagiki che sono fuggiti cercando di dirigersi verso quello che ritenevano un porto sicuro.

Il fatto che siano coinvolti dei tagiki significa che per la Russia si può aprire un fronte interno a causa dei nazionalisti delle aree ex sovietiche di religione musulmana?

Questo fronte interno c’è sempre stato: basta ricordare l’attentato di Beslan nel Caucaso, quello dei ceceni del 2002 nel teatro Dubrovka di Mosca. Non solo: un mese prima dell’invasione in Ucraina c’erano stati disordini in Kazakistan, nei quali la Russia intervenne. Niente di nuovo, quindi, per la Russia, anche se la minaccia vera per Putin non è quella del terrorismo, che non potrà mettere a rischio la sopravvivenza della Russia. Il pericolo è che ci possa essere una reazione. La Russia ha già attaccato con un grande spiegamento di mezzi parecchi importanti impianti di produzione dell’energia e di controllo del flusso dell’acqua sul Dnepr. Bisogna vedere come Putin reagirà, è lì che la Russia si gioca il suo futuro.

Nel momento in cui il terrorismo ceceno ha agito contro i russi la reazione a livello militare è stata quella di radere al suolo intere aree della Cecenia: se dovessero essere accertate delle responsabilità di Kiev, Mosca potrebbe fare la stessa cosa in Ucraina?

Il presidente della commissione Difesa della Duma ha detto che questa vicenda renderà la guerra molto più veloce e Peskov (portavoce del Cremlino, nda), settimana scorsa, ha dichiarato che non si tratta più di un’operazione speciale, ma di guerra. C’è un cambio di passo che potrebbe essere accelerato da questo evento. L’Ucraina però ha preso le distanze sostenendo che è stata la Russia stessa a dare seguito a questa provocazione.

Kiev ha accusato l’emittente russa NTV di aver montato ad arte un video per sostenere la tesi del coinvolgimento ucraino nell’attentato. Al di là delle reali responsabilità, Putin potrebbe sfruttare comunque questo episodio addossando la paternità all’Ucraina per colpire ancora più duramente il Paese?

Potrebbe essere una scusa per alzare il livello dell’offensiva, ma credo che la Russia nel momento in cui c’è stata una presa di distanza di tutti i Paesi dall’attacco, come hanno fatto Italia e Unione Europea, probabilmente farà attenzione a come reagirà, perché paradossalmente in questo momento il “cattivo” non è più la Russia. Può essere, quindi, che succeda il contrario: la Russia potrebbe cavalcare il vantaggio tattico acquisito in Ucraina e in generale, per avere meno ostilità da parte dell’opinione pubblica occidentale. Non necessariamente si arriverebbe a una reazione forte.

Anche se è un atto terroristico, può essere comunque considerato un’azione di guerra?

Ci sono state delle azioni ucraine sul territorio russo, nonostante gli americani avessero chiesto di smettere di colpire impianti di produzione del petrolio, anche per questioni di carattere economico. Questa è la dimensione della guerra. L’attentato, dal punto di vista operativo, è estraneo a questo contesto, che però può essere ricondotto alla guerra per i suoi effetti. Se i russi dovessero concludere che i terroristi sono stati appoggiati dagli ucraini o dagli occidentali, si può avere una specie di saldatura tra due eventi concettualmente diversi.

Ma alla fine a chi giova questo attentato?

Secondo me giova a chi cerca di allargare il conflitto. L’opinione pubblica russa si è radicalizzata ancora di più, a prescindere dal fatto che i colpevoli possano essere gli uni o gli altri. La Russia, che sta già pagando, come l’Ucraina, un grande tributo per questa guerra, sentendosi colpita alle spalle in questa maniera, potrebbe cedere al tentativo di allargare il conflitto, innescando una reazione addirittura europea o della NATO. Dal punto di vista dell’opinione pubblica, è un momento nel quale alla popolazione russa è stata espressa solidarietà da chi li considera dei paria che non possono neanche partecipare alle Olimpiadi. Ma se ci chiediamo cui prodest?, possiamo rispondere dicendo che è un tentativo in linea con l’obiettivo di allargare il conflitto in Ucraina.

(Paolo Rossetti)

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