In un interessante articolo di Luca Angelini sul Corriere della Sera, che riprende un intervento di Casey Michel sul Financial Times, si pone la domanda: “La Russia sta per disintegrarsi come l’Urss?”.
Per la verità Michel non parla di una prospettiva imminente, ma la domanda rimane interessante.
Occorre precisare ancora una volta qualcosa di cui anche noi abbiamo già scritto: quella che si chiama Federazione Russa non è affatto costituita solo da russi. Ne fanno parte anche i tatari, i ceceni, i buriati, eccetera, molte popolazioni asiatiche o comunque in gran parte di tradizione musulmana.
Come viene ricordato nell’articolo, proprio queste etnie hanno dato gran parte dei soldati impegnati, e caduti, in Ucraina. Accanto a “momenti di gloria” rivendicati da qualcuno di loro, ad esempio da Kadyrov, ci sono stati già anche forti segnali di malcontento da parte dei connazionali dei soldati inviati al fronte e non più ritornati o ritornati con evidenti menomazioni.
È significativo anche il fatto che tra le decine di migliaia di giovani fuggiti dalla Federazione per sottrarsi al servizio di leva non ci sono solo i figli “raccomandati” dei ricconi di Mosca e San Pietroburgo, ma anche i rampolli delle famiglie più in vista delle etnie sopracitate.
Inoltre molti di quei Paesi che li hanno ospitati e che fanno parte del trattato Csto, come hanno ribadito nel recente incontro di San Pietroburgo, non hanno nessuna intenzione di partecipare alla guerra.
Non hanno aderito alla proposta occidentale di partecipare alle sanzioni, anche perché da questa decisione hanno tutto da guadagnare facendo da tramite per interessanti triangolazioni commerciali, ma si guardano bene dal sacrificare i loro giovani per una causa che non li riguarda.
Occorre anche osservare che se nell’Unione Sovietica, nonostante la preminenza dei russi, consacrata anche dalle parole del celebre inno nazionale, la dirigenza politica aveva, in qualche modo, coinvolto anche esponenti di altre etnie, sia pure europee, non è così nella Federazione.
Non è un caso che in alcuni Paesi dell’Asia Centrale si dà oggi una certa importanza al movimento panturco Alash, dapprima accusato, non senza ragioni, di collusioni con l’invasore nazista.
In altre parole, sta crollando il grande progetto euroasiatico proposto da Aleksandr Dugin, con la Russia al centro di uno schieramento anti-occidentale, anche perché l’ala destra, quella della Cina, vuole prendersi quel centro che anche nel nome pretende di avere (Cina, in cinese, si dice Zhongguó, cioè Paese che sta al centro, addirittura al centro del mondo).
Comunque ha ragione Michel, non facciamoci illusioni. La crisi della Federazione Russa è solo all’inizio.
Piuttosto un’accelerazione della crisi del potere di Putin potrebbe venire proprio nel mondo russo, per la rivalità tra l’esercito e il gruppo Wagner.
Senza per forza paragonare la questione ai dissidi tra la Wehrmacht e le SS, non è un segreto che i quadri degli ufficiali superiori dell’esercito russo, più volte messi sotto accusa dalla stesso Putin, non vedono certo di buon occhio quei nazionalisti ideologicamente di estrema destra della Wagner che per di più arruolano come soldati gentaglia di ogni tipo, anche riscattata dalle prigioni.
Nella tradizione della Russia Sovietica e post Sovietica l’esercito ha sempre avuto una funzione subalterna alla politica, fin dalle sfortunate vicende di Trotzky, fondatore dell’Armata rossa. Ora però il grado di alta tecnologia richiesto a chi detiene le nuove armi dà a questi quadri militari un potere che non è sempre facile tenere sotto controllo.
Senza dimenticare che molti generali russi avevano relazioni più che amichevoli con i colleghi ucraini, insieme ai quali avevano studiato nelle West Point post-sovietiche.
Staremo a vedere. In un mondo che da tante parti va a pezzi, non è detto che anche la Federazione Russa, dopodomani, non domani, come si dice in russo, “si sciolga”.
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