Diceva Winston Churchill in uno dei suoi celebri aforismi: “La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”. È difficile non adattare questa frase alla cronologia della giornata di ieri nella Federazione Russa. Alle 7 di ieri mattina (diciamo ora locale russa), il capo del cosiddetto “gruppo Wagner”, Evgenij Prigozhin, un uomo d’affari, un oligarca, che da molto tempo ha stretti legami con Vladimir Putin e che combatte per i russi in Ucraina, dopo l’ennesima lamentela e sfuriata per le “pallottole che non arrivano”, per “la condotta di alcuni ufficiali e del ministro della Difesa russo”, Sergej Shoigu, decide di operare un colpo di scena che lascia sconvolto il mondo intero, non solo la Russia e il fronte della guerra.
Parlando da alcune settimane, se non da qualche mese, il capo della Wagner, il gruppo di contractors di sua proprietà, dichiara pure a proposito degli ufficiali e del quartier generale russo che sono “Un branco di bastardi che aveva bisogno della guerra per mettersi in mostra”.
Poi l’annuncio che i suoi 25mila uomini, che combattono per Putin, in Ucraina sono pronti a marciare su Mosca facendo circa 1200 chilometri nel giro di una ventina di ore. Lo scenario che si apre è inquietante e si comincia a parlare di ammutinamento, colpo di Stato, guerra civile. Tutte le ipotesi vengono avanzate e probabilmente nessuna di queste ipotesi corrisponde al vero.
Sembra quasi impossibile, nonostante le sfuriate e le continua lamentele a cui aveva abituato tutti, che il capo della Wagner, Prigozhin, arrivi addirittura a condurre lui una guerra all’interno della Russia fino a minacciare la sua capitale.
Vladimir Putin risponde poco dopo la dichiarazione di Prigozhin: “Difenderemo il nostro popolo e il nostro Stato da qualsiasi tradimento. Saranno adottate azioni ferme per stabilizzare la situazione a Rostov sul Don”. È un Putin preoccupato: “La situazione resta difficile. Il lavoro degli organi di governo civili e militari è stato di fatto bloccato”. Continua: “Le persone che adesso combattono sul fronte hanno ricevuto questa pugnalata alle spalle. Le azioni che hanno diviso le nostre unità sono infatti il rinnegamento del nostro popolo, dei nostri compagni d’armi che ora stanno combattendo al fronte. Tutti coloro che hanno scelto la via del tradimento saranno puniti e saranno ritenuti responsabili. Le forze armate hanno ricevuto gli ordini necessari. Mi rivolgo a coloro che sono stati coinvolti in questo. Vi invito a fermare le vostre azioni criminali”.
Dopo queste parole, Putin non parlerà più per tutta la giornata e si comincerà a definire tutta la vicenda russa almeno come “un fatto sull’orlo di una rivolta dai risvolti inquietanti”.
Putin non parla e c’è chi dice che sia addirittura allontanato da Mosca con il suo aereo.
Non c’è nessuno, in quel momento, che osa azzardare il “come” può finire una simile situazione, con gli uomini della Wagner in marcia verso Mosca; tutti i responsabili della Federazione Russa sembrano impacciati, quasi paralizzati anche se si barricano dietro a dichiarazioni enfatiche.
Tutte le cancellerie del mondo restano con il fiato sospeso. Si calcolano i chilometri che separano l’esercito di Prigozhin da Mosca e quante ore possano passare dalla possibilità di uno scontro tra l’esercito regolare russo e il Gruppo Wagner.
Poi, improvvisamente capita quello che, viste le ore precedenti, sembrava impossibile: poco dopo le sette di sera (ora occidentale) arriva una dichiarazione che pare incredibile da parte del capo del Gruppo Wagner: “Siamo arrivati a duecento chilometri da Mosca, ma adesso ci fermiamo”. Qualcuno ha aggiunto “Ritorniamo indietro”. “Non vogliamo spargere sangue”.
Il fatto che emerge e che è stato tenuto nascosto è che per tutta la giornata il capo della Wagner e il presidente della Bielorussia, Aljaksandr Lukasenko, per conto di Putin, hanno trattato e alla fine hanno ottenuto un accordo.
Ma, onestamente, nessuno in Occidente conosce il vero motivo dell’accordo e nessuno può immaginare quello che può accadere nei prossimi giorni.
Mosca era già stata messa in allarme, molti oligarchi da diverse parti della Russia erano fuggiti e il vero interrogativo si basa sul perché l’esercito regolare russo non sia intervenuto con decisione per fermare la marcia della Wagner.
Ogni previsione, a questo punto, diventa un’ipotesi possibile o impossibile. Ci si chiede dove appoggi veramente il reale potere in Russia e quale sia il nocciolo della partita in questione. È una vicenda aperta da mesi a cui al momento nessuno sembra poter rispondere. Bisognerà aspettare giorni, forse mesi, per comprendere quello che è accaduto veramente e che cosa nasconde il futuro, magari anche immediato della Federazione Russa.
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