Le autorità russe hanno avviato l’arruolamento, a partire da martedì, di 300mila persone per procedere con l’accerchiamento della seconda città più grande dell’Ucraina, Kharkiv. In gergo si chiama “Mobilitazione 2.0”, ma non avrà nulla di digitale in più della prima, dovrà solo dimostrare come i russi “sanno combattere in modo civile”, diversamente da quanto accaduto a Mariupol.



Dietro questa affermazione “anomala”, all’indomani dell’attacco terroristico che ha colpito la Russia di Putin e il suo 87% di consenso, c’è qualcosa di nuovo che va compreso, registrato e messo a fuoco nella Federazione, perché destinato a cambiare il volto della nuova “presidenziatura”. Si tratta di una pianificazione politica a medio termine di sostituzione di classe dirigente, con la consapevolezza che Putin potrà contare, per altri sei anni almeno, su un potere assoluto che non prevede reali opposizioni, se non di facciata.



Putin aveva manifestato con chiarezza l’intenzione di rinnovare la cosiddetta “élite politica” del Paese, chiamando al potere i veterani di guerra, la cui fedeltà al regime si sia dimostrata a partire dall’invasione in Ucraina del 2022. Un rinnovamento che passerebbe per il drastico ridimensionamento del potere in mano agli oligarchi della prima ora, come i vari Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Vladimir Potanin e gli altri arricchitisi allo scioglimento dell’Unione Sovietica, ma anche di quelli formatisi sotto il primo governo Putin, come Igor Sechin, Alexey Miller o lo stesso Arkady Rotenberg, considerato amico intimo del presidente. È stato lo stesso Putin a precisare cosa si debba intendere per élite. “Quelli che, senza alcun merito di fronte alla società, si considerano una casta con diritti e privilegi speciali, in particolare coloro che si sono riempiti le tasche negli anni 90, non possono certo essere considerati un’élite”.



Quale che sia il riscontro giudiziario che verrà prodotto nelle aule di giustizia della Federazione, in seguito ai molti suicidi improbabili o sospetti che hanno riguardato le figure apicali dei colossi energetici russi, non v’è un solo russo che non abbia colto al volo il segnale: il tempo dell’ancien régime putiniano non è destinato a restare in vita anche per il futuro. Sono ormai 20 gli oligarchi e i manager di Stato morti misteriosamente, da Vladimir Nekrasov ad Alexander Subbotin, passando da Tyulakov, Avayev e altri 15. Forse va letto in quest’ottica il tentativo sfortunato di Roman Abravomich di realizzare uno scambio di prigionieri in cambio della liberazione di Aleksej Navalny: tentativo fatto fallire per non offrire un riconoscimento esemplare ad uno degli (ex?) oligarchi più influenti di Putin.

Martedì, con un’operazione lampo, è stata rimossa la vice comandante generale delle Dogane, il numero due dell’import-export russo, con l’implicito avvertimento che il colabrodo alla frontiera è terminato, sia per chi traffica beni in uscita sia per chi lavora con le merci in entrata, spesso per il tramite di triangolazioni con Paesi terzi compiacenti.

Il “Tempo degli eroi”, nome ufficiale del progetto putiniano, coincide con il premio riservato alla nuova élite, ovvero i veri e fedeli servitori della Russia: lavoratori e combattenti affidabili, “persone degne che hanno dimostrato la loro lealtà al Paese”, per usare le parole dello stesso presidente nel suo messaggio all’Assemblea federale del 29 febbraio. È il disegno con il quale Putin intende rinnovare nei prossimi anni la classe politica russa e i vertici dell’amministrazione statale, promuovendo quanti si siano distinti sul campo in questi due anni di conflitto. “Guardo a queste persone coraggiose, a volte molto giovani, e posso dire con certezza che non si tireranno indietro, non falliranno e non tradiranno”.

Chi sarebbero dunque i patrioti che verranno chiamati alla politica attiva nel corso dei prossimi sei anni? “Sia militari di ruolo che volontari, civili mobilitati per rendere il proprio servizio alla patria. Sono loro che devono assumere posizioni di primo piano nel sistema educativo, nelle associazioni pubbliche, nelle aziende di Stato, negli affari, nell’amministrazione pubblica e municipale, per guidare le regioni, le imprese alla fine, i più grandi progetti nazionali”.

All’indomani di quelle dichiarazioni non era stato facile percepirne l’esatto significato, ma oggi è chiaro che la chiamata alle armi di 300mila nuovi soldati poggia su una scommessa: lo Stato è chi difende lo Stato. Vista da questo punto di osservazione, la guerra in Ucraina non subirà alcun rallentamento e nessun altra priorità – terrorismo compreso – potrà costituire motivo di rallentamento o pausa riflessiva.

Emerge una differenza rispetto a quanto successo dopo le guerre in Afghanistan e in Cecenia, quando solo a generali e alti ufficiali era stato consentito l’accesso alle sfere più alte del potere, mentre ai semplici combattenti non erano state riservate le stesse opportunità. Ora Putin si rivolge esplicitamente non solo al personale militare professionista, ma anche a lavoratori e volontari direttamente o indirettamente coinvolti nell’“operazione militare speciale” che siano in possesso di un’istruzione superiore e possano vantare esperienza nella gestione di persone.

Si tratta di un’inversione di tendenza, o comunque di un cambiamento, che potrebbe mutare il volto della Federazione nei prossimi anni.

Non cambierà molto altro: non la libertà di espressione, non la regola del bilancio dello Stato fondata sul valore dei 60 dollari al barile, non il primato della difesa dei confini anche con l’offesa ai confinanti.

Gli organi della Procura generale stanno lavorando per restituire un certo numero di grandi imprese e complessi immobiliari alla proprietà statale: la ri-nazionalizzazione delle proprietà aziendali “è giustificata in situazioni in cui i beni sono stati acquisiti per elusione, in violazione della legge e, inoltre, sono utilizzati a danno dello Stato”: i pubblici ministeri nei tribunali sono riusciti a restituire allo Stato i beni delle imprese strategiche per un valore di oltre 1 trilione di rubli, secondo quanto ha riferito il procuratore generale Igor Krasnov a Putin.

Ma c’è di più: molti beni tra quelli che hanno lasciato illegalmente le proprietà della Federazione Russa, anche attraverso la corruzione, sono stati utilizzati anche per finanziare attività terroristiche da parte dell’Ucraina”. Ed ecco che il cerchio si chiude: accusare di intelligence con i nemico la cerchia di amici delle fasi presidenziali precedenti è segno di una sterzata vigorosa e inaspettata che nessuno avrebbe messo in conto a così pochi giorni dal plebiscito.

La guerra va avanti, con “nuovi eroi”. La difesa dei patrimoni russi esportati all’estero non è più una priorità, se la deve sbrigare il diritto internazionale.

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