Il plauso del club di Cernobbio è importante ancor più quello dell’Unione Europea, per non parlare della telefonata di Donald Trump, ma adesso dalle parole bisogna passare alle cose e non c’è molto tempo. La prossima settimana Roberto Gualtieri parteciperà alla sua prima riunione dell’Ecofin in qualità di ministro dell’Economia ed entro il 27 del mese dovrà presentare la nota di aggiornamento al Def, il Documento di economia e finanza, mettendo nero su bianco la cornice finanziaria entro la quale si muoverà la prossima legge di bilancio.
E il Conte bis dovrà affrontare le sue prime prove concrete. Con due cartine di tornasole. La prima si chiama aspettative. Portarle troppo in alto è rischioso, come ha dimostrato il governo precedente con la sua fine della povertà (Luigi Di Maio) o la liberazione dal lavoro (Matteo Salvini). La seconda, ancor più importante, si chiama discontinuità. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha annunciato urbi et orbi che l’alleanza giallo-rossa nasce all’insegna della discontinuità, ma proprio qui si nascondono le trappole più insidiose.
La trappola più insidiosa è senza dubbio il decreto sicurezza. Stando alle primissime mosse del neo-ministro degli Interni, Lucia Lemorgese, prevale piuttosto la continuità: i porti restano come erano prima, cioè semi chiusi. Ma è davvero troppo presto per avere un’idea precisa, quindi sospendiamo il giudizio.
Più chiaro è quel che emerge dalla politica economica. Il fisco innanzitutto. Seppellita la flat tax, che poi non era affatto piatta, il Pd punta ad alleggerire le imposte che gravano sul lavoro con una detrazione di 1.500 euro per i redditi fino a 35mila euro, che si estende fino ai 55mila euro, ma in misura decrescente (ciò vuol dire 125 euro in più al mese). Tuttavia questo assorbirebbe gli 80 euro e farebbe scendere il bonus mensile ad appena 45 euro. Un’ipotesi alternativa prevede un taglio di due punti alle prime tre aliquote fiscali. In questo caso il beneficio sarebbe esteso a tutti. Nell’un caso e nell’altro il costo s’aggira attorno ai 10 miliardi di euro, grosso modo quello che era previsto per gli 80 euro del governo Renzi. Il Movimento 5 Stelle sembra più propenso a seguire la seconda strada, puntando sulle famiglie, ma soprattutto ha a cuore il salario minimo per legge. Vedremo quale delle due strade prevarrà, o se Pd e M5s troveranno una terza via.
Altro punto chiave sono gli investimenti. Maurizio Landini, segretario della Cgil, grande sponsor dell’attuale formula di governo, dalle colonne della Repubblica ha chiesto non solo meno tasse sul lavoro, ma “un grande piano di investimenti”. Intanto, ci sono già stanziati e non spesi 13,5 miliardi, non sono quel new deal al quale pensa Landini, ma se davvero messi in moto subito potranno contrastare almeno in parte la caduta della domanda senza peggiorare il disavanzo pubblico. La titolare dei Trasporti Paola De Micheli, già vicesegretaria del Pd, ha detto che bisogna rimboccarsi le maniche: “Possiamo sbloccare i lavori anche con procedure semplificate. La Tav si farà”. Per i 5 Stelle è un vero tabù e il nodo politico non è affatto sciolto, al contrario di quel che spera la ministro. Ma la patata ancor più bollente si chiama Atlantia. I grillini insistono nella revoca delle concessioni, il Pd parla di revisione. Mario Giarrusso (M5s) ha subito dichiarato che non voterà la fiducia. Di Maio getta acqua sul fuoco: “Niente conflitti, non rispondete alle provocazioni. E dite al Pd di non fare come Salvini che si era tirato indietro. Troveremo una soluzione trasparente”.
Il malumore c’è e non viene nascosto. Intanto s’inserisce anche il protagonismo del più piccolo degli alleati, Leu, rappresentato da Roberto Speranza che in qualità di ministro della Salute vuole abolire il ticket di 10 euro sulle visite specialistiche (gettito di 400 milioni) più un grande piano di assunzioni, facendo pagare il costo a banche, assicurazioni, fondi di investimento o, per meglio dire, ai risparmiatori sui quali verranno scaricati gli oneri. Speranza è più in sintonia con i grillini che con il Pd.
Tutti del resto hanno già cominciato il loro gioco al rilancio che si traduce nel solito assalto alla diligenza (Lorenzo Fioramonti non ha fatto in tempo a giurare come ministro che ha chiesto 3 miliardi in più per scuola e università). Se le cose stanno così, altro che discontinuità, prevale la continuità con il solito modo di governare, fatto di conflitti tra i partiti e di agende personali dei singoli ministri. E poi ci si chiede come mai aumenta il debito pubblico.
E siamo arrivati all’alfa e all’omega dell’esperimento giallo-rosso. Le carte che giacciono sullo scrittoio di Gualtieri, un tempo appartenuto a Quintino Sella, dicono che la crescita quest’anno sarà dello 0,2% (bene che vada) e salirà appena allo 0,8 l’anno prossimo con la speranza che resti stabile anche nel 2021. Il disavanzo pubblico si chiuderà al 2,1% e resterà invariato per scendere all’1,8 tra due anni. Il debito dovrebbe calare dal 132,6 al 131,3 e poi al 130,2% del prodotto lordo. In realtà, il deficit lasciato in eredità da Giovanni Tria s’aggira attorno all’1,6%, quindi l’attuale governo prevede un mezzo punto in più, circa 8 miliardi di euro. È questo l’oggetto del negoziato che si apre con la Ue.
Giuseppe Conte è convinto che Bruxelles non si metterà di traverso, quindi Gualtieri potrà dormire sogni tranquilli prima dell’Ecofin, invece non arrivano solo segnali positivi. La prima vera prova sarà la nomina di Paolo Gentiloni. L’asticella è stata portata molto in alto: Roma vuole gli affari economici che sono stati gestiti dal francese Pierre Moscovici. La Francia sarebbe d’accordo, la Germania resterebbe neutrale, ma l’Olanda, la Finlandia e i paesi di Visegrad si oppongono. Non per pregiudizio nazionale, ma perché temono l’occhio di riguardo che Gentiloni avrebbe verso l’Italia che, a loro giudizio, continua a non fare i compiti a casa e a non mettere ordine nei suoi conti pubblici.
La partita si sta giocando in questi giorni e si chiuderà martedì. Gentiloni potrebbe ottenere poltrone importanti e non solo di prestigio, come la concorrenza o il commercio. Ma se le aspettative italiane verranno ridimensionate, è facile prevedere che scoppieranno molti malumori soprattutto tra i 5 Stelle. Mentre Salvini in piazza potrà dire: avete visto, hanno lisciato il pelo a Bruxelles e si sono ritrovati con le pive del sacco. Forse lo dirà con parole più grossolane, ma tant’è. Aspettative molte e impegni troppo astratti, come discontinuità, sono arrivate al confronto con i fatti.