Le drammatiche tensioni tra Usa e Iran, il caos Libia, i conti pubblici in affanno, i casi Alitalia e Ilva al palo, i nodi della prescrizione e dell’autonomia rafforzata, lo slittamento della verifica di legislatura. Il governo Conte non riesce più a prendere una decisione, perde peso e terreno a livello internazionale, rinvia tutti i dossier – politici ed economici – sul tavolo.
“E’ certamente meglio un governo che decide rispetto a uno che rinvia – commenta Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera -. Ma la situazione è congelata perché il governo giallo-rosso è intrappolato dalle contraddizioni lasciate in eredità dal governo giallo-verde a Conte e Di Maio, che non possono smentire se stessi fino al punto di rivedere quota 100 e reddito di cittadinanza, dove ci sono risorse che potrebbero essere destinate a stimolare la crescita in altro modo”. In più pesano il fatto che con Renzi a giocare siano oggi in tre anziché in due e lo sfaldamento dei Cinquestelle, il partito-perno della legislatura. In questo quadro, solo Lega e FdI vogliono il voto anticipato, ma “il centrodestra a guida Salvini deve risolvere un grosso problema: il rapporto con la Ue”.
“La cosa curiosa poi – aggiunge Polito – è che ormai la maggioranza rinvia anche la verifica sul perché si rinvia tutto: la verifica doveva servire a non rinviare più e a mettersi d’accordo su un programma di rilancio dell’azione di governo, ma hanno rinviato anche l’azione che avevano immaginato per non rinviare più. E non è una condizione del tutto nuova”.
Ci troviamo, insomma, nella stessa condizione dell’anno scorso quando era insediato il governo giallo-verde?
Nel 2019 si era già esaurita la spinta propulsiva iniziale, quando i due contraenti del contratto avevano da realizzare ciascuno un programma, fra l’altro oneroso per le casse dello Stato: la Lega quota 100 e M5s il reddito di cittadinanza. Spartiti quei soldi dell’erario pubblico, dopo non si sono più trovati d’accordo su niente, perché non c’era un programma comune. Lo stesso vale per questo governo, dove ci sono delle misure del governo precedente che andrebbero corrette.
E perché non viene fatto?
Non si può fare perché né Conte né Di Maio possono smentire se stessi fino al punto di rivedere quota 100 e reddito di cittadinanza, dove ci sono risorse che potrebbero essere destinate a stimolare la crescita in altro modo. In più, restano sul tavolo decisioni o non decisioni del governo precedente che non si riescono a fare per la stessa ragione.
Per esempio?
La questione sulla prescrizione, che è un lascito del Conte 1, o le autonomie regionali, dove curiosamente il ministro Boccia ha raggiunto un’intesa con i governatori leghisti, bloccata però dai Cinquestelle. Il tutto è complicato poi dal fatto che oggi a giocare sono in tre anziché in due: non ci sono solo Pd e M5s, ma anche Renzi, che sta lì sulla frontiera e tenta di tirare un po’ di consensi di qua e di là. Tutto ciò spiega lo stallo attuale.
Quale prezzo potrebbe pagare l’Italia?
Sui conti pubblici, un governo che non decide niente è meglio, perché non facendo nulla non li peggiora. E’ una vecchia regola anche della politica americana: quando al Senato e alla Camera siedono due diverse maggioranze, non si riesce a far nulla e il bilancio pubblico non peggiora. Invece è molto pesante la situazione d’incertezza in cui sono finite numerose attività industriali di primissimo piano nel paese: l’Alitalia, dove ogni volta esce fuori la grande ipocrisia di usare i soldi dei contribuenti per tenere in piedi un’azienda che ne perde ogni giorno che vola; l’Ilva, con il rischio serio di non trovare chi subentri ad ArcelorMittal nel caso non si raggiungesse un accordo; Autostrade, dove persino lo stato di diritto è quasi sospeso. Sono prezzi che si pagano soprattutto alla certezza del diritto e alla credibilità del paese presso gli investitori esteri.
A complicare il quadro si aggiungono le nuove e gravissime tensioni internazionali, dall’Iran alla Libia, dove l’Italia sembra del tutto fuori gioco. E’ così?
Nella questione iraniana noi non avremmo contato in nessun caso. Solo la Ue può contare qualcosa, ma l’Europa è stata purtroppo sbaragliata dalla distruzione del suo accordo sul nucleare operata prima da Trump e adesso dagli stessi iraniani. Cosa può fare in questo quadro l’Italia da sola? E’ normale che non conti nulla.
Sulla Libia però le nostre responsabilità sono ben diverse, non crede?
Sono molto preoccupato e anche stupito da questa vicenda, perché in Libia noi contavamo, eccome. Sarraj era il nostro uomo, ma non siamo stati capaci di difenderlo né all’interno della Ue, per esempio nel rapporto con la Francia, né all’esterno della Ue, per esempio nei rapporti con l’Egitto prima e con la Turchia adesso. L’idea che a decidere sulla Libia, il paese da cui partono i profughi dell’Africa verso l’Italia, siano ormai Russia e Turchia, manco fossimo tornati ai tempi dell’Impero ottomano, è veramente un disastro della nostra politica estera.
Rinviando ogni decisione politica a dopo il voto regionale del 26 gennaio, il governo non avvalora la tesi di Salvini che le elezioni, soprattutto in Emilia Romagna, acquistano valore nazionale?
Che lo sia è evidente, non c’è bisogno di dissimularlo. L’hanno capito anche gli italiani e credo anche gli emiliani. E’ l’unico argomento per Salvini, che sostanzialmente dice agli emiliani: buttate giù il governo di centrosinistra, così buttiamo giù anche il governo di Roma e andiamo alle elezioni. Se l’Emilia dovesse passare al centrodestra, il governo è finito, perché il Pd non può rimanere a lasciarsi rosolare a fuoco lento. Bisognerà però vedere se gli elettori emiliani sceglieranno di usare i loro voti in questo modo.
Lo stesso premier Conte sembra non in grado di prendere in mano la situazione, come aveva minacciato sei mesi fa, richiamando allora all’ordine i sempre più litigiosi Salvini e Di Maio, e come aveva promesso di fare prima di Natale con l’idea di rilanciare il programma di legislatura. Paga il fatto di essere un avvocato più che un politico?
Conte è un premier “orfano”, senza un partito alle spalle. Era stato scelto dal M5s per fare l’amministratore delegato di una maggioranza di governo di cui non era il proprietario. Ed è rimasto per garantire una continuità con il passato, anche se non è più considerato espressione dei Cinquestelle dallo stesso Di Maio, con cui è in conflitto. Per restare a galla oggi il premier si appoggia più al Pd, che paradossalmente è diventato quasi il suo partito.
E lo sfaldamento dei Cinquestelle potrebbe acuire la situazione d’incertezza e di debolezza del governo?
Questo è il grande fatto politico della legislatura. Il partito di maggioranza relativo in Parlamento con quasi il 33% dei voti si è squagliato nel paese e il voto in Emilia e in Calabria confermerà questo dato. E’ un fattore di vera e grande instabilità: non può reggere a lungo una situazione in cui il partito perno del sistema politico nazionale è il terzo o quarto nel paese e non è più guidato unitariamente. E questo non solo è una delle cause della tensione interna alla maggioranza, ma è anche l’argomento che giustifica la richiesta dell’opposizione di tornare alle urne.
A proposito di centrodestra, chi oggi potrebbe avere interesse ad andare al voto anticipato, soprattutto sapendo di avere davanti questioni delicatissime da affrontare, dai conti pubblici alle crisi internazionali, dall’Alitalia all’Ilva?
Salvini ha interesse ad andare al voto adesso, perché è ancora aperta la finestra all’interno della quale può vincere le elezioni. Non è detto che tra un anno le cose saranno come oggi. Sul piano dei consensi Salvini è uscito indenne dalla crisi di governo, dove pure ha commesso molti errori, mentre la Meloni è riuscita a crescere ulteriormente, nonostante la forza di Salvini, quindi allargando l’ambito della destra. Ecco perché Lega e Fratelli d’Italia hanno interesse ad andare a votare. Ma se dovesse perdere in Emilia, buona parte della forza d’urto di Salvini sarebbe molto ridimensionata.
E gli altri partiti?
A tutti gli altri partiti non conviene andare a elezioni anticipate. Soprattutto a tutti gli altri parlamentari, compresi quelli che si stanno staccando dai Cinquestelle.
Il motivo è la riforma sul taglio dei parlamentari?
Non avrebbero infatti alcuna possibilità di ricandidarsi. Se il referendum confermativo non ci sarà o se vincessero i Sì, come probabile, il prossimo Parlamento avrà circa 350 parlamentari in meno. E’ una questione di vita o di morte per buona parte dei parlamentari che la legislatura continui. E’ questo grosso centro parlamentare trasversale che non vuole le elezioni a tenere in piedi la legislatura e un governo così imbarazzato e frenato, perché altrimenti ci sarebbero le elezioni. Una situazione congelata.
Ma il centrodestra avrebbe le ricette giuste per affrontare e risolvere i grossi problemi che ci si parano davanti?
Il centrodestra a guida Salvini ha un grossissimo punto debole: deve affrontare e sistemare il suo rapporto, ancora irrisolto, con l’Europa. In Europa ci si può stare anche in maniera critica e conflittuale, ma ci si deve stare. Se si fa parte di un raggruppamento parlamentare europeo dove siedono forze come AfD o la Le Pen, che vogliono inceppare, se non addirittura sfasciare, il progetto europeo, non ci sono le possibilità per governare bene un grande paese come l’Italia. E’ talmente un problema politico che ha provocato l’uscita di Salvini dal governo e la crisi di agosto. Come fa capire Giorgetti, questo problema toglie credibilità a Salvini, e gli ricapiterà ancora. Poi, certo, ci sono tanti altri problemi, ma tutte le coalizioni avrebbero difficoltà a governare un’Italia così ferma e sulle ginocchia ormai da 15 anni dal punto di vista economico.
(Marco Biscella)