Dopo due anni di pandemia, tutti sono d’accordo che il sistema sanitario nazionale vada riformato e sostenuto economicamente. In questo senso assume particolare rilevanza l’incontro che si terrà oggi alle ore 19 in Sala Neri General al Meeting di Rimini, dal titolo “Il cambiamento possibile, la sanità oltre il Covid”. A cura di Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con Centromarca, vedrà la partecipazione di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GimbeGiuliano Rizzardini, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano; Roberto Speranza, ministro della Salute; Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Il tentativo, dopo due anni di pandemia, è di prendere in esame la situazione della sanità nel nostro Paese, mettendo in luce i cambiamenti prodotti dall’emergenza sanitaria, facendo emergere i tentativi e le esperienze che possono indicare nuove strade per affrontare il tema dell’assistenza sanitaria. Ne abbiamo parlato in anteprima con Nino Cartabellotta.



In questo incontro si cercherà di capire che strada deve prendere la nostra sanità dopo la pandemia. Ci può dire quali criticità avete osservato voi come Gimbe?

Si parla poco di come era lo stato del Servizio sanitario italiano prima della pandemia. Vorrei cercare di partire da lì prima di entrare nella situazione attuale.



Prego.

L’ultima fotografia che facemmo come Gimbe del Servizio sanitario nazionale risale al giugno 2019 ed etichettava il sistema come un “malato cronico con patologie multiple”.

Nel dettaglio?

Un sistema “frastornato” per una serie di tagli economici che nel decennio 2010-19 aveva subito un definanziamento pari a 37 miliardi di euro in meno. Da un lato questo taglio, dall’altro l’aumento dei costi delle potenziali prestazioni per i cittadini, gli sprechi e le inefficienze. Voglio citare anche l’espansione di questo secondo pilastro assicurativo finanziario, che viene presentato come un pilastro di sostentamento, ma rischia con una serie di distorsioni legate alla normativa frammentata di diventare un pilastro di affondamento. Infine un contesto dove la collaborazione tra Stato e Regioni non è tanto leale, anzi spesso diventa un conflitto istituzionale con conseguenze che vanno a scaricarsi sui cittadini appartenenti alle fasce socio-economiche più deboli.



Un quadro preoccupante o c’è dell’altro?

L’irrompere di una mentalità definibile come consumismo sanitario che ha fatto diventare il paziente più un consumatore di prestazioni che una persona che richiede e che ha bisogno di salute. Lo tsunami pandemico ha ulteriormente messo in luce queste carenze per via di modelli organizzativi regionali non all’altezza e della carenza di personale figlio dei tagli.

Che futuro si immagina?

Le risorse economiche messe sul piatto per il fabbisogno del Ssn dal Pnrr non basteranno secondo le nostre analisi a far fronte a tutte le necessità. La mancanza di personale è senz’altro la criticità principale; se non ci sarà una serie politica di rilancio queste riorganizzazione dei servizi che si prospetta rischia di rimanere opera morta.

La mancanza di personale sanitario è un problema puramente economico?

Il problema fondamentale è che avendo utilizzato la spesa per il personale come ammortizzatore principale dei tagli è ovvio che in dieci anni si sono determinate problematiche come il mancato rinnovo contrattuale, la demotivazione professionale, la diminuzione dei giovani che si sono iscritti alla facoltà di medicina e ai corsi infermieristici.

Il ruolo del professionista sanitario è stato mortificato?

Direi proprio di sì. Non basta rifinanziare le strutture o mettere dei soldi per le borse di studio, questi sono primi passi. Bisogna capire quale futuro si vuole dare a tutte le professioni sanitarie, quella medica in primis, ma poi anche le altre legate al settore.

La crisi della medicina territoriale è stata individuata come una causa della gravità della pandemia. Come Gimbe che indicazioni date a questo proposito?

Noi da tempo siamo fautori di un contratto unico del medico per il Servizio sanitario nazionale, indipendentemente da quale sia la sua collocazione, ospedaliera o territoriale. Se non cominciamo ad abbattere delle barriere, questi silos organizzativi, contrattuali, sindacali, non veniamo fuori da questa situazione. La frammentazione in atto, con da un lato le Regioni e dall’altro le organizzazioni sindacali che a loro volta sono frammentate in una quantità spropositata di realtà, fanno diventare complicato per chi gestisce la contrattazione a livello politico-organizzativo mettere in piedi delle riforme adeguate.

Ha parlato di conflitto tra Stato e Regioni. Chi ha le responsabilità maggiori?

Le responsabilità sono di entrambi i soggetti. Per come è fatto l’articolo 117 che affida alcuni compiti alle Regioni e allo Stato degli altri, c’è una zona grigia intermedia che diventa il territorio dello scaricabarile quando le cose non vanno bene. Non ho mai creduto neppure che la riforma costituzionale di Renzi nel 2016 potesse essere la soluzione.

Invece?

Abbiamo bisogno di maggiore attività da parte dei governi di verifica e organizzazione delle Regioni, e queste si devono occupare della pianificazione e della gestione dei servizi. Ma ci devono essere criteri oggettivi molto ben riproducibili, strumenti di valutazione più rigorosi in pieno accordo, senza farne una operazione di controllo dello Stato perché le Regioni soffrono molto il fatto di sentire il fiato sul collo.

All’incontro sarà presente il ministro della Salute: quale è il vostro rapporto con le autorità istituzionali?

Come ente indipendente abbiamo sempre fatto una attività di supporto esterno, proprio per mantenere l’indipendenza, rifiutando ogni incarico pubblico. Noi forniamo indicazioni scientifiche allo Stato per far sì che possa lavorare il meglio possibile. Questo è successo ad esempio durante la campagna vaccinale. I nostri dati sono stati essenziali per le Regioni per sapere come era la situazione.

(Paolo Vites)

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