Due fantasmi si agitano continuamente nel panorama di chi frequenta il pianeta sanità, due miti continuamente riproposti e ripetuti come un mantra: guardi indietro e li trovi lì belli belli, vai avanti e ti intralciano il passo, cerchi di cambiare strada e loro sono sempre lì presenti, inossidabili nel loro messaggio. Li abbiamo chiamati “miti” proprio perché li vogliamo sfatare in quanto si tratta di due chiari errori, di due falsità che perseverano nell’essere diffuse: evidentemente fanno comodo ad alcune narrazioni.
Di cosa si tratta? In questo breve contributo sveliamo i due errori e ne diamo le ragioni.
Il primo mito riguarda i posti letto ospedalieri. Ricordiamo innanzitutto che, in base ai criteri di accreditamento, ad ogni posto letto corrisponde un pacchetto di risorse (personale, spazi, consumi, …). Negli ultimi 10 anni (dal 2010 al 2019, escludendo per ovvi motivi gli anni della pandemia da Sars-CoV2) i posti letto complessivi nel nostro Paese sono passati da 247.399 a 210.664, con una diminuzione di 36.735 letti (-14,85%). Questa riduzione viene sbandierata come il segnale che il SSN è in crisi, sta implodendo, e non è più capace di rispondere ai bisogni sanitari del Paese. Ergo: ci vogliono più posti letto. Questo è il mito. Approfondiamo.
Ci aiuta nell’analisi la tabella 1, che riporta i dati ufficiali del Ministero della Salute (vedi sul sito www.salute.gov.it le relative pubblicazioni degli anni considerati). La riduzione ha riguardato sia gli ospedali pubblici che quelli privati accreditati, anche se in termini percentuali le strutture pubbliche (-16,12%) hanno registrato una maggiore diminuzione di letti rispetto a quelle accreditate (-9,56%). È giustificata questa diminuzione? Nello stesso decennio i ricoveri sono diminuiti del 24,55% (pubblici: -26,71%; accreditati: -17,96%) se consideriamo il numero delle dimissioni; e del 18,35% (pubblici: -20,00%; accreditati: -13,88%) se consideriamo il numero delle giornate di degenza.
Tabella 1. Posti letto, ricoveri, giornate di degenza tra il 2010 ed il 2019. Totale Italia. Fonte: Ministero della Salute.
Ora, al di là delle differenze (importanti ma non decisive) tra ospedali pubblici e ospedali privati accreditati, l’andamento complessivo dei ricoveri ospedalieri è molto chiaro e pone il quesito se siamo di fronte ad una minor domanda di attività ospedaliera oppure ad una restrizione o limitazione delle attività erogate (con le ovvie conseguenze in termini di esiti avversi attesi per la salute della popolazione).
Da una parte, i cambiamenti introdotti nelle modalità di cura dalla medicina moderna, con il ricorso a forme di assistenza sempre più leggere per molte attività che prima richiedevano il ricovero ospedaliero, stanno spostando di fatto le priorità della organizzazione sanitaria verso un diminuito ruolo dell’ospedale (minore bisogno e domanda di ricoveri, minore necessità di giornate di degenza, e quindi minore utilizzo di posti letto); dall’altra, se prendiamo la mortalità totale come indicatore di stato (bisogno) di salute, vediamo che il tasso standardizzato di mortalità nei maschi è passato da 103,04 (ogni 10.000 ab.) nel 2010 a 100,16 nel 2019, e nelle femmine da 65,88 a 69,13, valori che indicano una sostanziale stabilità del bisogno sanitario. Ed anche le liste di attesa, altro indicatore di bisogno/domanda, hanno un impatto numericamente non rilevante sul tema dei ricoveri, sicuramente non tale da essere spiegato dalla riduzione osservata nei posti letto.
Quindi? La risposta è semplice: vista attraverso la diminuzione dei posti letto non c’è nessuna crisi o implosione del SSN, ma si sta assistendo ad una trasformazione di fatto del ruolo dell’ospedale, ad un suo minore utilizzo essendosi modificata la modalità con cui molti bisogni sanitari sono trattati, e quindi ad una minore necessità di posti letto. E poiché ogni posto letto non utilizzato rappresenta uno spreco importante di risorse, va da sé che i posti letto ospedalieri sono (e probabilmente continueranno ad essere) in diminuzione, con buona pace delle narrazioni catastrofiste ed implosioniste.
Il secondo mito riguarda il numero di medici. Il blocco delle assunzioni di questi ultimi (almeno) 10 anni ha ridotto il personale attivo e lo ha enormemente invecchiato; il personale uscito (pensionamenti) non è stato reintegrato; la migrazione in uscita dal SSN è forte ed interessa diverse tipologie di figure; l’attrattiva del SSN è bassa; molte specialità cliniche sono in decisa difficoltà (soprattutto l’area dell’emergenza-urgenza); ci sono molte condotte (Mmg, Pls) scoperte e cittadini che non hanno il medico di base; i concorsi per la sostituzione di personale vengono aperti, ma i partecipanti latitano e le posizioni rimangono vuote; sono state introdotte modalità di acquisizione del personale che destano sicure perplessità (gettoni di presenza); tanti soggetti che hanno l’opportunità escono dal SSN (o dalla sua parte pubblica) perché trovano migliore sistemazione nel privato; e così via: il problema c’è ed è un caso serio (vedi: www.sussidiarietà.net). Ergo: ci vogliono più medici. Questo è il mito. Anche in questo caso: approfondiamo.
Sempre secondo i dati del ministero della Salute, al 31 dicembre 2020 risulterebbero lavorare nelle strutture, pubbliche e private accreditate, 241.210 medici (e 343.279 unità di personale infermieristico) che operano nei vari livelli di assistenza (medicina primaria, riabilitazione, ospedaliera, ambulatoriale): circa 163.000 nelle varie strutture pubbliche (o equiparate), più di 47.000 sono i Mmg (medici di medicina generale) ed i Pls (pediatri di libera scelta), e quasi 31.000 lavorano nel privato (di cui più di 26.000 nel privato accreditato dal SSN).
In termini di andamento, il numero di medici è leggermente diminuito (poche migliaia) dal 2012 al 2019 ed è tornato a crescere nel 2020 (anche se non ha ancora raggiunto i valori del 2012); sostanzialmente costante nel periodo è risultato invece il numero del personale infermieristico. Guardando alla distribuzione per età dei professionisti si osserva da una parte una generale femminilizzazione della professione (i maschi prevalgono a partire dalla classe di età 50-54 anni, mentre le donne sono prevalenti nelle classi di età inferiori), dall’altra i professionisti sono prevalenti nelle classi di età 55-59 e 60-64 anni, il che significa che nei prossimi 5 anni si osserverà una forte uscita di medici dal SSN (più di 40.000 medici entro il 2027). Per gli infermieri il picco di frequenza riguarda invece le classi di età da 45 a 59 anni ed i nuovi entrati rimpiazzano numericamente quelli in prossima uscita.
Sono tanti o sono pochi? Adottando il metodo dei confronti internazionali (Paesi europei) l’Italia si posiziona quasi al centro della distribuzione con un valore di 4 medici ogni 1.000 abitanti, appena superiore alla media europea che è di 3,8 medici ogni 1.000 ab. In sostanza dovremmo dire che ad oggi i medici non mancherebbero, ma se teniamo conto di quelli che usciranno dal SSN nei prossimi anni se non verranno adeguatamente rimpiazzati finiremmo attorno a 3 medici ogni 1.000 ab, cioè tra le nazioni con minor numero di medici. Se poi esaminiamo il rapporto tra infermieri e medici in Europa vediamo che l’Italia (rapporto = 1,4) si classifica tra le nazioni in cui tale rapporto è più basso (media europea = 2,3), e se si tiene conto che la quota di medici (4 x 1.000 ab) è leggermente superiore a quella europea (3,8 x 1.000 ab) ne consegue che ogni 100 infermieri che ci sono in media in Europa, in Italia ce ne sono solo 64, il che denota che la vera carenza di oggi non sarebbe nel personale medico bensì in quello infermieristico.
Nel contesto descritto merita un approfondimento la medicina del territorio, che vede in discesa la quota di Mmg (erano 42.428 nel 2019, sono scesi a 40.250 nel 2021, una discesa dell’ordine del 5%: -2.178 unità) e di Pls (passati da 7.408 del 2019 a 7.022 nel 2021: -368 unità, anch’essi in diminuzione del 5%).
Quindi? Se diamo qualche valore ai confronti internazionali dobbiamo dire che il numero complessivo di medici rapportato alla popolazione appare congruo, mentre invece è del tutto insufficiente il numero degli infermieri. La congruità complessiva dei medici nasconde però da una parte la loro eterogenea distribuzione nelle regioni del nostro Paese, soprattutto con riferimento alla medicina di base (Mmg, Pls), e dall’altra la carente presenza di alcune specializzazioni (emergenza-urgenza, ad esempio). Inoltre, preoccupa a breve l’innalzamento dell’età media del personale medico ed il conseguente fenomeno della “gobba pensionistica”, particolarmente minaccioso nei prossimi 5-10 anni.
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