“E in tutto ciò che è segreto v’è qualcosa da cui la gente si lascia convincere… forse un ricordo della magia”. Graham Greene, in quel meraviglioso libro che è Il nostro agente all’Avana, ci aiuta a comprendere perché mai si debba dare un così grande risalto a una notizia di solito riservatissima, quale l’arresto di una spia che lavora per una potenza straniera. Una spia che è un militare e la moglie, fatto incredibile, viene subito intervistata da giornalisti rapidissimi nel possedere tale notizia, da così raccogliere una dichiarazione che disvelerebbe la ragione dello spionaggio: una necessità economica. È vero che non è più tempo di racconti polizieschi come quelli di John le Carré e del grande Graham Greene prima citato. Oggi sembra che tutte le tragedie debbano ripresentarsi in farsa. Ma la verità tuttavia anche nella farsa può venire alla luce, come in questo caso, se collochiamo questa notizia nelle faglie del discorso pubblicistico internazionale.
Il 2 aprile appare sul Financial Times un articolo che ci rivela come Matteo Salvini abbia in corso d’opera una sorta di accordo politico con il partito di Putin. Si tratta non di verificare se ciò che si scrive risponde al vero, ma solo di sottolineare che una simile notizia ben si sposa come scansione temporale con la notizia dell’arresto della spia. Nel mentre, nella stessa data un articolo a tutta pagina su Le Figaro (“Un espion jette un froide entre Rome et Moscou”) consente a uno studioso raffinato come Lucio Caracciolo di dichiarare che l’avvenimento bene si inquadra nella riaffermazione dei legami atlantici enunciati con chiarezza da Mario Draghi nel suo discorso d’insediamento, a differenza di quanto era accaduto nei tempi dei governi Conte, con medici militari russi a passeggio nei pressi delle basi militari e via discorrendo.
E Caracciolo sottolinea giustamente il ruolo importante nel complesso della difesa missilistica nucleare sempre svolto dal secondo dopoguerra dall’Italia e che appunto Mario Draghi con decisione ha riaffermato. Ma la conclusione più acconcia della vicenda spionistica sta nella lettera firmata congiuntamente da Blinken e Di Maio in occasione di un significativo anniversario nella lunga storia delle relazioni italo-nordamericane: “La stabilità nel Mediterraneo allargato, che si estende dall’Afghanistan al Sahel, è un obiettivo prioritario della nostra cooperazione. Sosteniamo il popolo e le istituzioni libiche nel loro percorso verso elezioni libere e corrette e verso una soluzione politica sostenibile alla crisi, nel quadro delle Nazioni Unite. Siamo in prima linea nella lotta al terrorismo attraverso la Coalizione globale anti-Isis. In Afghanistan, le truppe italiane e americane operano spalla a spalla da vent’anni e non permetteremo ai terroristi di usare il suolo afgano per minacciare la nostra sicurezza e quella dei nostri alleati. Lavoriamo inoltre assieme per individuare soluzioni alle crisi in Yemen, Siria, Iran, Myanmar, nel Sahel e nel Corno d’Africa”.
In effetti erano anni che una dichiarazione simile non si leggeva. Tanta decisone non poteva intravedersi solo pochi mesi addietro, quando un importante ministro nordamericano aveva potuto con una notevole pubblicità (anche in quel caso) visitare gli archivi dei nostri servizi segreti su incarico del presidente Trump e del presidente avvocato Conte. Un fatto che ebbe dell’incredibile e che rimarrà negli annali del dominio oligarchico internazionale. Sì, oligarchico, perché solo un regime oligarchico che straccia le sue vesti costituzionali può essere lo spazio storico-politico in cui accadono cose del genere: primi ministri che si occupano di servizi segreti in pubblico, così da farsi ben intendere da alleati nell’ombra e da intimorire i competitori delle lotte politiche nazionali. Questo capita perché alla macchina dei partiti si è sostituita una macchina oligarchica di capi affiliati a diverse potenze internazionali che tramite loro vorrebbero governare l’Italia nel disordine e nella lotta fratricida degli italiani.
Il riferimento alle guerre italiane del Cinquecento è immediato. Se ne contarono ben sette (1494-1498;1499-1504;1508-1516; 1521-1530; 1536-1538; 1542-1546; 1551-1559) e videro scontrarsi Sacro Romano Impero, Spagna, da un lato, e Francia e Impero ottomano, dall’altro, con l’Inghilterra che alternava il suo appoggio all’uno o all’altro gruppo di contendenti di un domino appetibile quanto mai, mentre gli antichi Stati italiani si dilaniavano tra le potenze in lotta. Il Papato anch’esso oscillava nelle sue alleanze sino a perdere il ruolo centrale che prima esercitava.
La situazione di oggi ricorda quei tempi, se sostituiamo i vari antichi Stati con ciò che rimane dei partiti tramutatisi in gruppi di senatori o di onorevoli guidati da capi che non sono neppure più eletti. Molti hanno il dubbio che le potenze contendenti odierne e che fanno il verso a quelle cinquecentesche nominino anche loro, com’è accaduto esemplarmente con i casi di Letta e ben prima di Grillo. Una nuova potenza appare sempre più minacciosa: la Cina è, infatti, apparsa sulla scena mediterranea ed è una differenza sostantiva. Ed è apparsa una potenza saldamente insediatasi e che non vuole perdere il potere conquistato da tempo: gli Usa. Essa è finalmente di nuovo apparsa con una forza da tempo inusitata all’orizzonte.
La Francia cerca disperatamente di non perdere il suo potere nel Mediterraneo e il controllo condiviso di ciò che rimane dell’Italia è essenziale. Ora le guerre italiche si svolgono, come ho più volte sottolineato, per controllare un lago atlantico contendibile come il Mediterraneo. Lago atlantico che è anche un lago Pacifico, ossia del Mar Pacifico, come la vicenda di Suez e della nave misteriosamente incagliatasi ha fatto anche qui con un tempismo perfetto ricordare ai più. Tra i più ci sono le diplomazie francesi e tedesche che devono tirare dritto e seguire l’Orsa Maggiore della potenza che è la locomotiva del mondo.
Per far capire chi comanda ci si può ispirare anche alla grande letteratura di spionaggio. Un tempo si ricorreva alla storia, che non insegna, però, nulla agli umani: ripetono sempre gli stessi errori. Non così accade con la storiografia, che invece può veramente essere maestra di vita. Ma ora, nell’eterno presente, chi legge libri di storiografia?
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